Radicali: ci salveranno i nonni e vecchie zie?

Chissà, forse c’è del vero in quello che sostiene Dimitri Buffa (“Radicali, gli italiani non ci credono più”, L’Opinione 21 gennaio). Forse il generale disamoramento per il mondo della politica (e sa il cielo quanto giustificato!) finisce con il coinvolgere anche i radicali. Può essere che un “partito di idee e di ideali, di idee giuste e ideali sacrosanti” non paghi; nell’immediato, almeno. Può anche essere che vi sia una quota di responsabilità dei radicali stessi, che possono certamente essere inadeguati rispetto agli obiettivi che si pongono, che indicano, che cercano di perseguire. Tutto può essere, davvero.

Ma abbiamo la possibilità di saperlo? Perché la prima questione da porre e porsi è questa: che possibilità hanno i radicali, Marco Pannella ,Emma Bonino, Rita Bernardini, di essere conosciuti e apprezzati; e che possibilità hanno i cittadini di potersi fare un’opinione e valutare se quello che fanno, dicono, propongono è cosa giusta, opportuna, necessaria; o al contrario, pessima, sbagliata, inutile? Già sessant’anni fa Luigi Einaudi nelle sue “Prediche inutili” ammoniva che il fondamento per poter deliberare era quello di conoscere. Senza conoscenza, si può al massimo avere un plebiscito…

Faccio un esempio concreto. È noto che Pannella e i radicali da tempo hanno una sorta di chiodo fisso, quello della riforma della giustizia; e la ricorrente obiezione è: sì, va bene, però c’è anche altro, bisognerebbe occuparsi per esempio del lavoro che non c’è, della disoccupazione, della produzione che non decolla, dell’economia che ristagna. Lo dicono, pensate, perfino alcuni radicali. E sono opinioni, affermazioni di buon senso; almeno in apparenza. Le agenzie l’altro giorno informavano che “l’Italia è in un’umiliante posizione, 147esimo posto su 198 Paesi, nella classifica stilata dalla Banca Mondiale, quando si parla di esecuzione forzoso di un contratto per via giudiziaria. 147esimi nell’ultima rilevazione, 147esimi nella precedente, con un progresso dello 0,00 per cento 1.185 giorni per chiudere un procedimento, contro una media di 540 giorni degli altri paesi Ocse… È innegabile che il mix di tempi della giustizia lunghi e scarsa certezza del diritto sia una miccia esplosiva per qualsiasi operatore economico”. Si sta parlando di soldi, qualcosa di concreto; cose che non riguardano solo gli ultimi tra gli ultimi, i detenuti… Sempre l’altro giorno abbiamo ascoltato l’appello lanciato dal ministro della Giustizia Andrea Orlando, ai partiti di partiti di maggioranza e opposizione, perché si sappia e voglia superare quello che definisce uno scontro politico "ventennale", capace di produrre "uno dei più grandi macigni per la crescita".

Tra i parametri per valutare lo stato di salute del pianeta giustizia, il ministro cita anche il nodo mai sciolto sulla responsabilità civile dei magistrati: solo 4 casi di condanna su 400 cause da quando la Legge Vassalli è in vigore; se consideriamo che la legge è del 1988, si può dire che è come non ci fosse; e non si può davvero dire che in tutti questi anni, di errori giudiziari non se ne siano fatti, e anche di gravissimi; ci sono persone che ne sono morte. Il ministro Orlando arriva così alla conclusione, bontà sua, che quella norma “non tutela i cittadini”; ne ricava che va cambiata; ma tranquilli, senza comunque intaccare l'indipendenza dei giudici. La magistratura associata è mobilitata per scongiurare che possa accadere d’essere chiamati a rispondere direttamente degli errori commessi per dolo o colpa grave. Scambiano indipendenza per impunità. Silenzio, assoluto, invece per una situazione gravissima e che emerge dai dati ufficiali diffusi dallo stesso ministero di giustizia. E cioè che negli ultimi dieci anni oltre un milione e mezzo di processi sono andati in fumo per prescrizione: centocinquantamila l’anno, più o meno. Una situazione che non è dovuta a manovre ostruzionistiche o dilatorie degli avvocati difensori; di quel milione e mezzo di prescrizioni oltre un milione e centomila, il 73 per cento, sono andati in fumo quando il procedimento è ancora in fase di indagine preliminare, archiviati dal giudice delle indagini preliminari. Altri sessantamila circa sono andati al macero per prescrizione disposta dal giudice per l’udienza preliminare. Cose solide, concrete, che riguardano una quantità di persone, quel milione e mezzo di processi che se ne vanno in fumo… Venerdì prossimo a Roma si aprirà l’anno giudiziario 2015, e sabato analoghe cerimonie si terranno in tutti i capoluoghi di regione; è l’occasione per tracciare uno stato di salute della giustizia italiana. Vedremo cosa verrà detto, quale sarà il quadro che sarà tracciato, i giudizi che verranno dati sulle riforme di cartone del governo Renzi.

Ecco: quanti dibattiti e confronti su questioni come quelle citate avete visto nei tantissimi talk-show di televisioni pubbliche e private? Quante volte avete visto Pannella, Bonino, Bernardini, i radicali, invitati a confronti e dibattiti? Quante volte, einaudianamente, Pannella, Bonino, Bernardini, i radicali, hanno avuto la possibilità di esporre le loro proposte, di farsi conoscere e apprezzare? Direi che siamo a percentuali da prefisso telefonico. Se questa è la “semina”, mi pare inevitabile che il “raccolto” sia quello ben descritto da Buffa. Cambiamo le regole del gioco, e poi vedremo e sapremo chi, e come sa giocare.

I radicali, al termine del loro recente Comitato Nazionale, hanno approvato un documento nel quale annunciano che coglieranno ogni occasione istituzionale, e dunque anche elettorale, e di informazione, per porre all’attenzione dell’opinione pubblica il programma che è contenuto nel solenne messaggio alle Camere inviato dal Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, l’8 ottobre del 2013. Il riferimento esplicito è al messaggio dell’8 ottobre del 2013. Napolitano è sinceramente addolorato per la grave situazione in cui versano le carceri italiane; è consapevole che occorre una radicale riforma della giustizia, perché i processi sono incredibilmente lenti, si sa quando hanno inizio ma la fine di un procedimento è un terno al lotto; centinaia di migliaia le prescrizioni che rendono vano il lavoro di magistrati e investigatori; sa bene, glielo dicono in coro nelle sue visite in Europa e negli Stati Uniti che uno degli ostacoli a maggiori investimenti stranieri in Italia è dovuta all’incertezza del diritto, oltre che alla corruzione endemica…E’ anche convinto che la soluzione, in attesa delle altre soluzioni, sia un provvedimento di amnistia e di indulto, mirati, per i reati minori, che decongestioni la situazione nelle carceri e nei tribunali… Napolitano di tutto questo è convinto, e alla fine accoglie il suggerimento di Pannella: usare lo strumento costituzionale del solenne messaggio alle Camere. Pochi presidenti l’hanno finora usato, una decina di “messaggi” dall’inizio della Repubblica; e mai Napolitano. Quell’8 ottobre il messaggio viene recapitato alla presidenza del Senato e della Camera. Ci ha lavorato personalmente Napolitano, prima la copia a mano, poi trascritta, riletta, emendata…

Il messaggio solenne del Presidente, non fosse altro per una sorta di rispetto dovuto alla carica che lo ha inviato, dovrebbe essere letto e discusso da senatori e deputati; magari respinto con un gentile “no, grazie”, ma certamente oggetto di riflessione e dibattito… Invece no. Nelle innumerevoli conferenze dei capigruppo, quel messaggio non viene preso in considerazione; Senato e Camera non trovano il tempo per dibattere quel messaggio, e rendere partecipe il paese di quello che Napolitano ha inteso dire loro. Viene semplicemente lasciato cadere, come se non fosse stato mai inviato.

Accade anche questo. Ne ha parlato, ne ha discusso qualcuno di questo sonoro ceffone che il Parlamento ha dato al presidente della Repubblica? Qualcuno ha discusso, si è confrontato con le questioni sollevate dal presidente (ormai emerito) Napolitano? Non mi sorprende dunque che il paese nel suo complesso risponda in termini ridottissimi alle sollecitazioni dei radicali. Chi non sa, non fa. Se le televisioni mostrano Renzi “camicia bianca” e Beppe Grillo o Matteo Salvini a gogò, perché mi dovrei poi sorprendere se si finisce con il credere che solo questi tre siano gli “attori” sulla scena? Cominciamo a garantire a tutti identica base di partenza, poi vedremo.

Quanto al prossimo futuro radicale, azzardo una previsione: presto, passato l’inverno, strade e piazze vedranno ancora radicali con i loro tavolini a raccogliere firme; e a ogni elezione, dove sarà possibile, ci saranno liste radicali, o con chi si vorrà alleare ai radicali; e che il simbolo, il contenuto, l’essenza del messaggio politico che i radicali cercheranno di trasmettere nei prossimi mesi sarà costituito dal patrimonio “prezioso ed essenziale” dell’azione di garante delle istituzioni svolta di da Napolitano. Per questo chiederanno a tutti (quando dicono tutti, significa tutti) di iscriversi come atto di fiducia: per quello che hanno saputo fare in passato, per quello che promettono di fare in futuro. Nell’epoca della rottamazione, un partito che nel 2015 compie sessant’anni, guidato da un leader che il 2 maggio ne compirà 85, prende come “programma” quello incarnato da un presidente che il 29 giugno compirà novant’anni… Oltre alle zie di longanesiana memoria, è probabile che saremo salvati dai “nonni”…

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 23:11