Volontariato e Stato:   entrambi responsabili

L’esigenza di salvare sempre e comunque la vita umana non può diventare l’alibi per ogni forma di irresponsabilità. La questione va posta a quelle organizzazioni che in nome delle loro motivazioni umanitarie danno vita ad iniziative piene di rischi dando per scontato di poter comunque, nei casi più estremi, di poter scaricare sullo Stato il compito di risolvere i problemi.

Non si è ben capito se le due ragazze liberate la scorsa settimana dietro pagamento di un riscatto da parte dello Stato abbiano organizzato da sole la loro spedizione in Siria o abbiano fatto parte di una qualche organizzazione di volontariato decisa a svolgere azione umanitaria in favore dei combattenti anti-Assad. Ma rispetto alla questione dell’alibi per l’irresponsabilità è del tutto indifferente sapere se la loro è stata un’iniziativa individuale o di gruppo. Perché in un caso o nell’altro, sia che Greta e Vanessa si siano imbarcate in un’avventura solitaria o di gruppo, finisce sempre che ad intervenire in nome della difesa della vita dei propri connazionali finiti nei guai nelle zone calde del pianeta sia sempre lo Stato. Che in questo modo finisce con l’essere una sorta di assicurazione tacita e non onerosa per ogni tipo di avventura.

Da quella dei turisti in cerca di esotico e di situazioni estreme a quella di chi si tuffa in guerre e situazioni a rischio in nome dei propri ideali umanitari a chi, sempre in nome di questi ideali, mette in piedi organizzazioni che operano con strutture complesse per portare il proprio aiuto (medico, religioso, materiale o altro) a chi pensa ne abbia bisogno.

Il singolare di questa situazione è che lo Stato assume di fatto una condizione di garante senza limitazioni di sorta. Che interviene e si fa carico di trovare una qualche soluzione, sia essa il ricovero e le cure allo Spallanzani del medico di Emergency colpito da Ebola, sia l’eventuale pagamento del riscatto per Greta e Vanessa. Sbaglia chi pretende che lo Stato debba obbligatoriamente farsi carico delle conseguenze delle iniziative dei singoli o delle organizzazioni. La vocazione umanitaria della nazione, in particolare della nostra, non va mai messa in discussione o applicata secondo necessità e criteri contingenti.

Ma tra chi chiede lo Stato egoista e chi lo Stato assicuratore totale ci deve essere la posizione intermedia di chi sottolinea come lo Stato dovrebbe almeno avere la possibilità di conoscere preventivamente le iniziative singole o collettive nelle aree di maggior pericolo e di porre eventuali limiti o condizioni per non trovarsi esposto alla difficoltà o impossibilità di poter fronteggiare i rischi conseguenti.

Si tratta, in sostanza, di fissare paletti di responsabilità alle pulsioni umanitarie. Siano esse degli individui e delle organizzazioni, siano esse dello stesso Stato!

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 23:16