Il lascito pericoloso  di Giorgio Napolitano

Matteo Renzi che ironizza sulla capacità dei leghisti di leggere più di due libri nel corso della loro vita. Matteo Salvini che replica sostenendo che il bilancio del semestre italiano di presidenza europea è segnato da uno zero assoluto. Il tutto mentre dalle tribune Beppe Grillo commenta sparando a zero contro l’uno e contro l’altro. La scena non si è svolta nel Parlamento italiano, dove sarebbe stata comunque sgradevole e squalificante. Ma nel Parlamento europeo. E l’aver esportato su un palcoscenico internazionale le polemiche politiche domestiche non è stato solo un segno di grande provincialismo, ma anche il segnale che la vocazione alle lotte intestine, siano esse grandi come quella tra Cesare e Pompeo o ridicole come quella per la secchia rapita, è per gli italiani più forte di qualsiasi altra passione.

Questa conferma non è un buon viatico per l’ormai iniziata partita per il Quirinale. Giorgio Napolitano ha deciso di chiudere il suo secondo mandato nei tempi e nei modi che aveva anticipato. E nulla è riuscito a modificare il suo intento. Ma la sua uscita di scena è capitata in un momento in cui la stabilità dallo stesso Napolitano perseguita ad ogni costo, anche quello di scavalcare l’ambito dei suoi compiti e fare concorrenza ad Oscar Luigi Scalfaro per il ruolo di Presidente più interventista della storia repubblicana, è più in bilico che mai. Il secondo mandato dell’ormai ex capo dello Stato avrebbe dovuto servire a rasserenare gli animi, a creare le condizioni per portare avanti la legislatura e ad avviare a conclusione il percorso delle riforme.

Ora, nel momento in cui si apre formalmente la procedura che deve portare all’elezione del successore di Napolitano, si prende atto non solo che gli animi non si sono affatto rasserenati, ma che il rischio vero della battaglia per il Quirinale può essere la caduta del Governo, l’interruzione del percorso delle riforme e la fine della legislatura con l’indispensabile ricorso alle elezioni anticipate.

Napolitano avrebbe fatto meglio a rinviare le dimissioni di qualche mese? Probabilmente sì. Ma tant’è. E ora non rimane che prendere atto della crescente consapevolezza che la stabilità, cioè la tenuta del Governo, il percorso delle riforme ed il prosieguo della legislatura dipende dalla tenuta del Patto del Nazareno nella partita per il Quirinale.

Se l’accordo tra Renzi e Berlusconi regge ed i due riescono a concordare ed a far eleggere un capo dello Stato condiviso tutto si tiene almeno fino al prossimo anno. Se, al contrario, l’accordo viene fatto saltare tutto precipita e si spalanca la strada all’abbinamento delle prossime elezioni regionali di maggio con le elezioni politiche generali.

Napolitano non aveva di sicuro previsto che i suoi sforzi per la stabilità avrebbero portato il Paese sull’orlo della massima instabilità. Ma, soprattutto, non avrebbe mai potuto pensare che il dilemma tra stabilità ed instabilità potesse passare dalle mani di chi lo ha più avversato negli ultimi tempi e punta ad usare l’ariete Prodi sorretto da sinistra Pd, Sel e grillini contro il Patto del Nazareno. Anche su questo, però, recriminare non serve a nulla. E non rimane che prendere atto della realtà sperando che la stabilità non diventi regime e l’instabilità non porti al caos.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 23:08