Quel... surreale radicalismo televisivo

Uno dei grandi problemi della nostra informazione è costituito dalla matrice culturale e politica di molti giornalisti, in buona parte reclutati nel variegato mondo del radicalismo. Da questo punto di vista La7 oramai rappresenta l’emittente più estremista, tanto da far impallidire la vecchia “Telekabul” del compianto Sandro Curzi.

A parte l’equilibrato e valido Giovanni Floris, il resto dei suoi colleghi telepredicatori rappresentano una sorta di fritto misto di nostalgici figli dei fiori, di rivoluzionari filo-sovietici d’antan e di terzomondisti inveterati alla perenne ricerca di un capro espiatorio occidentale a cui attribuire una qualche, grave responsabilità storica per un crimine o una guerra del momento.

Ovviamente, sul tema caldo del terrorismo di matrice islamica, non poteva mancare il surreale contributo di Michele Santoro, uno dei massimi capostipiti del citato radicalismo giornalistico. La sua tesi, furbescamente suggerita da una serie di domande del tutto tendenziose poste agli ospiti della sua ultima puntata di “Servizio pubblico” – tra i quali un esterrefatto e comprensibilmente indignato Giuliano Ferrara – sul fenomeno che sta insanguinando mezzo mondo ricalca in qualche modo la nota teoria dei compagni che sbagliano.

In estrema sintesi, secondo il cervellone salernitano ci troveremmo di fronte ad una risposta errata, le stragi e le esecuzioni sommarie, per un problema assolutamente sacrosanto: la presunta opzione di uguaglianza portata avanti da chi mitraglia e sgozza in nome della sua religione. Dunque, al fondo dell’ennesima mattanza perpetrata all’ombra della Tour Eiffel, e sotto la crosta di un sanguinario integralismo religioso, ci sarebbe l’antica fiaccola rivoluzionaria di chi si batte per la chimerica giustizia sociale. Giustizia sociale la quale, secondo le dogmatiche convinzioni di Santoro & company, è ostacolata con ogni dal nemico storico del popolo in marcia: l’Occidente capitalistico.

Ora, al di là di una delirante argomentazione che si commenta da sola, francamente mi chiedo come possa aver riscosso tanto successo, fama e prestigio – compresi i puzzolenti quattrini capitalistici – un personaggio il quale, fin dai tempi lontani di “Samarcanda” ci propone in tutte le salse sempre la stessa chiave di lettura basata su un pauperismo di matrice anti-occidentale. Sebbene esista ancora nella società una nutrita componente di individui che prestano fede alle tesi a dir poco obsolete di Santoro, si tratta comunque di una minoranza di nostalgici adoratori di una religione mediatica la quale, anziché fare informazione, si limita ad esprimere sempre lo stesso mantra televisivo. Sul piano concreto, con tutto il rispetto per i cattolici, recitare per tre ore il Rosario o assistere ad una puntata di “Servizio pubblico” non vi è molta differenza.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 23:13