Scandalo coop: Roma  non è che l’inizio...

Saremo anche monotoni ma ribadiamo il concetto: lo scandalo romano delle cooperative è l’incipit di un processo – traumatico – di ristrutturazione degli equilibri interni alla sinistra. Non è una nuova tangentopoli. Piuttosto, si tratta del completamento dell’opera di demolizione di una classe dirigente, incominciata nel ‘92 ma rimasta incompiuta. A quel tempo, la magistratura inquirente aveva lasciato in piedi un pezzo importante del potere rappresentato dall’universo produttivo che ruotava intorno al maggiore partito della sinistra.

A essere più precisi, quel sistema costituiva il motore trainante della complessa macchina organizzativa del Partito Comunista e, dal dopo-muro di Berlino, di tutte le forme nelle quali il Pci si è riciclato. La Lega delle cooperative non è un corpo estraneo alla sinistra. È la sinistra. Con la sua capacità di muovere ricchezza sul territorio, il colosso della cooperazione finanziata ha prodotto un proprio welfare attraverso il quale il partito ha costruito il suo largo consenso elettorale. Le ruberie individuali rappresentano la patologia di un fenomeno che, invece, ha reso fisiologico il rapporto tra denaro e poteri pubblici.

Questo rapporto è il vero iceberg ancora sommerso. Dallo scoppio del bubbone la parola d’ordine che circola negli ambienti del Partito Democratico di fede renziana è massima durezza nei confronti di quelli beccati con le mani nel sacco. La vecchia guardia bersanian-dalemiana continua a tacere. Sa fin troppo bene che sulla graticola ci sono finiti i suoi sodali e altri rischiano di finirci se soltanto la magistratura vorrà spingere fino in fondo il repulisti, estendendo le indagini a macchia d’olio sull’intero territorio nazionale. Siamo alla resa dei conti tra due facce di uno stesso sistema di potere.

Se vent’anni orsono sparirono i partiti di governo che avevano caratterizzato la Prima Repubblica, oggi tocca agli ex comunisti di essere epurati. Per andare a fondo nella ricerca non ci si dovrà limitare a inseguire i singoli “mariuoli”, ma si dovrà mettere allo scoperto il meccanismo che ha consentito al sistema cooperativo di produrre occupazione di favore in cambio di appalti facilitati e di corsie preferenziali per l’accesso ai fondi pubblici.

Difficilmente si scoprirà che i lavori commissionati alle cooperative non siano stati effettuati. I casi di truffa piena saranno limitatissimi. Il grosso del movimento cooperativo ha operato onorando gli impegni assunti. Per trovare l’inghippo bisognerà entrare nel meccanismo di reclutamento della manodopera, agevolato dal rigonfiamento dei costi esecutivi. E la destra che ha fatto? Dov’era? La risposta è, se possibile, ancora più sconcertante. Piuttosto che contrastarne l’andazzo, essa ha provveduto a crearsi un proprio reticolo di associazioni e cooperative di comodo con le quali sedere alla mensa del potere per spartirsi le briciole di quello che le grandi holding lasciavano in terra. Neanche il mondo del solidarismo cattolico può chiamarsi fuori. Anch’esso si è accomodato alla tavola imbandita, pretendendo il posto d’onore. E’ grazie a questo coacervo d’interessi privati che la solidarietà in Italia è divenuta prevalentemente business. Ha ragione quel tale intercettato quando afferma che l’accoglienza rende più della droga. Non avevamo il minimo dubbio, come non dovrebbe averlo chi almeno per una volta nella vita abbia letto un bilancio di un Comune o di una Regione.

Non sappiamo ancora se Renzi sia destinato a sopravvivere alla scossa. Se sia lui il nuovo dei prossimi decenni, come lo fu Berlusconi nel dopo “Mani Pulite”. Tuttavia, appare più chiaro il motivo per il quale il Premier chiacchierone si sia circondato di persone inesperte e senza storia che facessero da starlette nel suo show, piuttosto che chiamare a gioco i collaudati volponi della nomenklatura del partito. Che sapesse già cosa sarebbe accaduto?

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 23:29