La rivoluzione del nulla ha il suo cantore

Avevo già avuto modo di teorizzare una certa assonanza tra il linguaggio enfatico di Matteo Renzi e quello di Vladimir Majakovskij, definito da molti il cantore della rivoluzione d’ottobre. E se questi scrisse in una sua celebre opera, all’indomani della presa del famoso Palazzo d’Inverno, che “dei mondi noi rifaremo tutto sino all’ultimo bottone”, il premier-cantastorie, cavalcando la tigre di carta dell’indignazione mediatico-popolare, ha tuonato contro i presunti ladri di Roma, promettendo di farsi ripagare da costoro “tutto, fino all’ultimo centesimo”. E allo scopo di stroncare una volta per tutte la corruzione, Renzi si è impegnato ad inasprire le pene ed a allungare la prescrizione, innalzando a sei anni la detenzione minima per questo reato, in luogo dei precedenti quattro anni. In questo modo nessuno potrà dire che il cantore della rivoluzione del nulla non stia facendo il possibile per combattere il malaffare, perbacco.

Tuttavia, ancora una volta emerge con tutta la sua dirompente inconsistenza il paradigma renziano del cosiddetto Governo migliore, in luogo del sempre più necessario Governo minimo, ossia quel modello di riferimento liberale che immagina di ridurre in modo ragionevole il pubblico malaffare semplicemente limitando il potere d’intervento di un sistema politico che intermedia il 55 per cento del reddito nazionale. Nulla a che vedere con la visione di un Presidente del Consiglio il quale ripropone in versione edulcorata il motto dei forcaioli d’antan: palla al piede e pigiama a strisce.

Evocando il suono sinistro delle manette e dei processi esemplari, il Premier dimostra di saper interpretare l’umore di quella piazza che invoca tribunali speciali e comitati di salute pubblica. Un uomo per tutte le stagioni che sul piano della propaganda non perde un colpo, trovando al momento miracolistiche soluzioni per ogni problema. Soluzioni che ovviamente non risolveranno un bel nulla, ma che continuano a mandare in estasi i teorici del renzismo, i quali intravedono nel volpino di Firenze l’unica speranza della Repubblica. Quella delle banane però.

Aggiornato il 09 aprile 2017 alle ore 17:00