La “Mafia de’ Noantri”

È raro che io mi trovi in sintonia con Giuliano Ferrara, tuttavia non posso che sottoscrivere in toto quanto da lui espresso in un editoriale in merito all’ultimo scandalo scoppiato nella Capitale, definito ironicamente dal direttore de “Il Foglio”, “La Corleone dei cravattari”. In particolare, derubricando l’ennesimo colpo del secolo contro il malaffare che affama il popolo buono, Ferrara conclude così il suo brillante intervento: “State avvisati, cari lettori: quando leggete di “centinaia di sicari prezzolati” che organizzano le preferenze elettorali, di riunioni di “fedelissimi presso il benzinaio di Corso Francia”, di “una mafia nuova, autoctona, che aveva mutuato i sistemi criminali dei clan siciliani e calabresi ritagliandoli sulla Capitale”, quando leggete di “sofisticate figure criminali”, di “epica nera della banda della Magliana” (organizzazione criminale il cui capo non solo è morto ammazzato nel 1990, ma fu sepolto per due decenni in una chiesa del centro di Roma ed è stato anche disseppellito e tumulato fuori del suo sacrario per ordine di Walter Veltroni sindaco, dunque è stato sepolto due volte), quando leggete di “Novecento deviato”, et similia, quella che vi stanno dando non è informazione su un’associazione delinquenziale ma una coglionatura ideologica per creduloni”.

Ora, a mio avviso, vi sono due elementi che in questo particolare momento storico hanno contribuito ad ingigantire presso l’opinione pubblica, fomentata ad arte da un’informazione complottista per convinzione e per interesse, questa ennesima vicenda di ordinaria ruberia e di intrallazzo: a) la connotazione mafiosa che i magistrati inquirenti hanno voluto imprimere col ferro ai reati contestati al nugolo di personaggi coinvolti; b) la spasmodica domanda in una società involuta come la nostra di esorcizzare una volta per tutte il male assoluto, così da attribuire ad un colpevole di comodo la qualifica di nemico del popolo, sul quale scaricare catarticamente la responsabilità di gran parte dei nostri mali sistemici.

Tutto ciò, come ho avuto modo di scrivere su queste pagine, ci richiama alla mente quanto accadeva durante l’oscura stagione di Tangentopoli, nella quale gran parte dei media e dei politici “nuovi” , compresi quelli sfuggiti alle inchieste, si posizionavano su un falso moralismo di maniera, evitando di affrontare in modo razionale gli aspetti sistemici che erano e tuttora sono alla base dello storico intreccio di ruberie e imbrogli che esiste tra la politica e un certo sottobosco affaristico, per così dire.

D’altro canto, in un Paese caratterizzato da un crescente abbassamento del senso civico, in cui vige in ogni ambito della vita quotidiana la legge del più furbo e del più aggressivo, mi sembra inevitabile che migliaia di imbroglioni e di rubagalline approfittino del fiume di danaro che transita attraverso l’enorme bancomat della spesa pubblica. Tant’è vero che, Mafia de’ Noantri a parte, non c’è luogo della politica e della pubblica amministrazione nel quale prima o poi non emerga un qualche scandalo o scandaletto legato ad un uso disinvolto dei quattrini altrui, secondo l’antico ma sempre più inascoltato detto dell’occasione e dell’uomo ladro.

Ma la risposta, a mio avviso del tutto sterile, che continua a giungere dal mainstream politicamente corretto è la solita di sempre: combattere la corruzione col Governo migliore, selezionando con rigore assoluto una nuova classe dirigente onesta e pura. E così, anziché affamare la “bestia” di uno Stato che oramai intermedia oltre il 55 per cento del reddito nazionale, si continuerà a rincorrere all’infinito il paradigma utopistico di una Repubblica che si vorrebbe di Platone ma che, in realtà, funziona come quella delle banane.

Aggiornato il 09 aprile 2017 alle ore 16:28