
Un partito d'opinione è per sua natura volatile. Se intercetta il sentire comune del momento raccoglie voti, ma se non riesce a mettersi in sintonia con gli umori profondi dell'opinione pubblica crolla vertiginosamente fino a scomparire. Per eliminare la volatilità un partito che non vuole correre il rischio di scomparire deve consolidare il proprio consenso. E per farlo è obbligato a compiere quella operazione che con singolare eufemismo viene abitualmente definita “radicamento nella società”. Questa operazione non è una trovata estemporanea, ma è il frutto di una esperienza antica. Che nasce all'epoca in cui le formazioni politiche erano espressioni di classi e di ideologie precise. E che è sopravvissuta alla fine delle ideologie ed al superamento del mito della centralità della classe operaia, mito dominante nei primi cinquant'anni del secondo dopoguerra italiano, per trasformarsi in “radicamento“ nel sistema amministrativo e burocratico dello Stato.
Lo scandalo Mafia-Capitale è un tipico esempio di questo radicamento post-moderno. Con la Mafia non c'entra nulla. Perché tra gli indagati può esserci un legame associativo di natura criminale, ma non esiste un legame riconducibile al fenomeno mafioso. E se gli inquirenti hanno tirato in ballo l'Onorata Società è solo per maggiore comodità ed utilità d'indagine visto che le norme antimafia sono più efficaci di quelle ordinarie. Ma con la politica c'entra eccome. Perché costituisce la punta di un iceberg fin troppo illuminante di come le forze politiche si radichino all'interno non della società civile, ma nel sistema amministrativo e burocratico per rendere stabile e non volatile il proprio consenso.
Non è una novità per nessuno che il principale strumento di radicamento delle forze politiche di sinistra sia da sempre quello delle cooperative sociali che vengono alimentate dai soldi pubblici e che garantiscono i voti a chi assume ruoli nelle amministrazioni locali da cui promana il flusso dei soldi per la loro alimentazione. La novità dell'inchiesta romana è che ad utilizzare questo sistema antico non sono più le forze politiche di sinistra, ma anche qualche gruppo proveniente dall'estrema destra deciso a conquistare la propria fetta di torta pubblica senza più badare all'appartenenza politica.
Chiedere alla magistratura di smantellare un meccanismo del genere è addirittura banale. Ma pensare che basti solo l'azione della magistratura, sia pure potenziata dall'uso strumentale della normativa antimafia, è ridicolo. Solo la politica può correggere un sistema che serve esclusivamente ad alimentare la politica stessa. E per farlo non può più permettersi di compiere ulteriori errori puntando su riforme di facciata destinate solo a perpetuare all'infinito il meccanismo del radicamento corruttivo.
Che succede, ad esempio, se il Comune di Roma viene sciolto e si procede a nuove elezioni? E' ipotizzabile che il voto produca un colpo di ramazza decisivo ai danni del sistema corruttivo? Oppure è scontato che tra primarie e sistema elettorale con le preferenze il consenso organizzato delle lobby, siano esse organizzate in forma cooperativa o sotto altre forme associative, torni a riprodurre le condizioni che hanno portato allo scandalo? La magistratura faccia il suo corso. Ma la politica deve assolutamente fare il suo. Ed è assolutamente inquietante che la nuova riforma del sistema elettorale sia incentrata su quella fabbrica di malaffare che sono le preferenze!
Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 23:21