Renato Brunetta   e le verità nascoste

Leggere l’intervista che il presidente Renato Brunetta ha rilasciato a “Il Giornale” ci provoca un senso di intenso godimento. Un autorevole protagonista della politica del centrodestra si leva a dire – in verità non è la prima volta che lo fa – ciò che noi a “L’Opinione” sosteniamo da un bel po’ di tempo.

Il complotto contro il nostro Paese, nell’estate del 2011, c’è stato. La regia è stata certamente di attori internazionali che si sono avvalsi del decisivo appoggio delle “quinte colonne” annidate nelle istituzioni e nei corpi intermedi della nostra società. In altri tempi le reazioni rispetto a simili scoperte sarebbero state di diverso tenore. Ma oggi quelle risposte democratiche non sono più di moda. Nell’universo parallelo della politica italiana i traditori passano per salvatori della patria e i difensori della dignità nazionale sono guardati come ottusi retrogradi. Sarà! Ma questo mondo di verità virtuali non riesce a cancellare del tutto la memoria degli accadimenti reali.

È importante che i fatti di quei giorni convulsi e tragici vengano ricostruiti. Seppure non dovessero servire a risvegliare le coscienze dei contemporanei, di sinistra e di destra, intontiti dalle folate di cloroformio renziano, sarà utile ai posteri apprendere che non tutti, in quegli anni del secondo decennio del XXI secolo, si erano bevuti il cervello. Renato Brunetta dice il vero. È così che sono andate le cose. Tuttavia, alla sua ricostruzione manca un tassello fondamentale. Perché il mosaico si completi deve cadere l’ultimo diaframma che ci separa dalla verità.

Nell’intervista on-line, Brunetta risponde a una domanda dicendo testualmente: “… I fondamentali dell’Era Berlusconi sono gli stessi del periodo precedente. In quel 2011 non è cambiato nulla. Non c’è motivo che si scateni la tempesta... “. Non è esatto. Non si può asserire che tra gli inizi del 2011 e l’estate dello stesso anno non sia cambiato nulla. È accaduto qualcosa di enorme che ha indebolito il nostro Paese fino a renderlo preda delle mire di ben individuati speculatori internazionali, coinvolti in solido con alcuni interessati player europei. C’è stata una guerra combattuta per interposto obiettivo. Si è colpita la Libia per mettere in ginocchio l’Italia. È stato rovesciato il governo di un personaggio, Al Qadhdhafi, assai poco raccomandabile come ce ne sono tanti in giro, non per amore di libertà ma per colpire al cuore gli interessi italiani nel paese africano. La “pugnalata alla schiena” all’Italia è stata inferta da Sarkozy, ma all’ombra della Porta di Brandeburgo già si scorgeva il profilo del mandante. O, per dirla alla maniera dei giudici italiani, del beneficiario finale. Il lavoro diplomatico compiuto da Berlusconi con il dittatore libico aveva fornito al nostro Paese, tra i molti vantaggi, anche un efficace schermo protettivo contro possibili tentativi d’aggressione ai titoli del nostro debito sovrano. L’Italia è caduta quando si è spezzato il legame con il leader libico. In questa mefitica vicenda c’è una sequenza perfetta nella successione temporale degli eventi. Dalla rivolta di Bengasi, preparata con cura dai servizi segreti francesi, alla lettera della Banca Centrale Europea al Governo Berlusconi. Tutto in meno di sette mesi. Quanti sono bastati perché l’Italia da player rispettato dello scacchiere internazionale finisse con il diventare una “colonia” della Germania, come ebbe a dire il leader dell’euroscetticismo inglese, Nigel Farage, in un’intervista rilasciata a “ItaliaOggi”, nel giugno 2013. Ciò che subiscono oggi gli italiani è diretta conseguenza di quella sconfitta.

Nel 2011 furono commessi molti errori. E quegli errori furono fatali per i nostri destini. Ma ancor più degli errori pesarono i tradimenti e l’intelligenza con i nostri concorrenti. Da quale parte erano schierati i saltimbanchi del circuito mediatico? I “poteri flosci” che combinarono in quei giorni? Quale fu il ruolo effettivo del Quirinale nella partita libica? Perché Obama diede il via libera a Sarkozy, nonostante i dubbi sull’intervento manifestati dall’allora premier italiano? C’entrava forse l’accordo siglato da Eni con la russa Gazprom, il 15 febbraio di quell’anno, per lo sfruttamento in partenariato del più importante pozzo petrolifero attivo in Libia?

I responsabili degli errori compiuti ne hanno pagato il prezzo con il declino politico. Invece i traditori sono ancora tutti al loro posto e si fanno osannare dalle folle come salvatori della patria e combattenti di una nuova Resistenza. Non sarebbe giunta l’ora che pagassero per le loro colpe?

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 23:22