
A chi nutre sospetti circa la recondita intenzione di Matteo Renzi di puntare alle elezioni anticipate, il Premier e le sue truppe cammellate continuano a rispondere con il mantra delle riforme da realizzare prioritariamente. La ragione sociale dell’attuale Governo è quella di cambiare il Paese, tengono a rassicurare i rottamatori al comando.
Tuttavia, osservando la condizione generale dell’Italia e le sue prospettive a breve termine – che sono poi le uniche cose che i politicacci odierni guardano – ci vuole molta fantasia per pensare che le riformicchie messe in campo dall’ambizioso volpino di Palazzo Chigi, oltre ad un immediato impatto elettoralistico, possano stravolgere in senso profondamente positivo il nostro traballante sistema economico e sociale. Un sistema affetto da un eccesso di Stato, di spesa pubblica e di tassazione il quale, trovandoci a competere con i limiti oggettivi di una democrazia, ha bisogno di tre cose essenziali per essere riformato: tempi lunghi, visione chiara sulle cose da farsi e uno o più statisti determinati a giocarsi il consenso pur di salvare il Paese dalla bancarotta.
Ora, mi sembra di poter dire che l’attuale Presidente del Consiglio si stia muovendo in una direzione del tutto opposta rispetto ai tre punti elencati. Non si intravede, infatti, nella sua azione un disegno strategico di riforma il quale, come la logica dei numeri e del buon senso vorrebbe, conduca ad una riduzione a regime di un sistema burocratico e assistenziale insostenibile.
Ne consegue l’intima consequenzialità del suo operato, tutto basato a capitalizzare nel breve il grande consenso guadagnato agitando a destra e a manca la bandiera a buon mercato della speranza. Ed è per questo motivo, tornando allo spunto iniziale, che l’ex sindaco di Firenze difficilmente resterà lungo la riva del fiume ad aspettare fino al 2018 gli improbabili effetti salvifici delle sue riformette di provincia. Riformette che, leggendo i documenti di previsione elaborati dallo stesso Governo, nel migliore dei casi lasceranno inalterato il perimetro pubblico, soprattutto dal lato della spesa pubblica e della feroce tassazione; ma è realistico pensare che già nel 2015 le cosiddette clausole di salvaguardia determineranno un ulteriore aggravamento della pressione fiscale.
Prima che l’unica opposizione a Renzi, ossia quella dei fatti, gli faccia pagare il conto, rendendo evidente ai più che l’unica cosa che continua a crescere è il prelievo tributario allargato, da bravo giocatore d’azzardo egli difficilmente si lascerà sfuggire l’occasione di prendersi tutto il piatto, portando un Paese sostanzialmente sfasciato alle urne il prima possibile. E sebbene, nel caso ciò devesse accadere, l’esito in suo favore appare scontato fin da adesso, sulla base di quale futura linea programmatica un Renzi trionfatore affronterebbe una nuova legislatura non è dato sapere. Personalmente nutro da tempo un profondo scetticismo al riguardo.
Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 23:28