
Non c’è una risposta all’interrogativo se le possibili dimissioni di Giorgio Napolitano alla fine di dicembre possano costituire un via libera o, viceversa, un ostacolo alle elezioni anticipate in primavera. Non ha torto chi ricorda che l’attuale Presidente della Repubblica ha sempre manifestato la propria contrarietà allo scioglimento anticipato delle Camere e rileva che le sue dimissioni, con l’elezione di un successore di diverso orientamento, potrebbero spianare la strada al voto politico in contemporanea con quello regionale.
Al tempo stesso ha ugualmente ragione chi considera che chiunque possa sostituire Napolitano al Quirinale difficilmente si potrebbe assumere la responsabilità di decretare la chiusura anticipata del Parlamento che lo ha appena eletto. E allora? Quesito inestricabile? Nient’affatto. Perché le elezioni anticipate non vengono mai provocate dalla volontà del Presidente della Repubblica in carica, ma sempre e soltanto dalle condizioni politiche generali e della forza e dalla determinazione di chi ha interesse ad andare al voto.
Napolitano ed il suo successore, quindi, possono essere contrari o favorevoli allo scioglimento del Parlamento frenando o accelerando i tempi dell’evento. Ma a decidere sono sempre le forze politiche prevalenti. E se è questo è il criterio su cui fondare la previsione se si arriverà o meno al voto anticipato, si deve necessariamente concludere che, con l’uscita di scena di Napolitano e con la quasi sicura conferma del Patto del Nazareno sulla legge elettorale, le elezioni si fanno più vicine.
Fino ad ora si è sempre detto, per stessa ammissione dell’interessato, che ad avere massimo interesse al voto in primavera fosse Matteo Renzi. Per evitare l’inevitabile logoramento provocato dagli effetti della crisi e per capitalizzare il consenso fino ad ora raccolto grazie alla mancanza di credibili antagonisti.
Ma adesso, dopo la vicenda dell’aggressione dei militanti dei centri sociali al leader della Lega Nord, Matteo Salvini, bisogna incominciare a riflettere sull’eventualità che ad essere interessati ad andare al voto in primavera possano essere anche i dirigenti delle altre forze del centrodestra e, in particolare, Silvio Berlusconi. Le spranghe (perché di spranghe si è trattato e non di cinte e di caschi che avrebbero testimoniato la casualità della vicenda e non la sua preventiva organizzazione) degli antagonisti, hanno fornito al segretario leghista quella spinta mediatica e quella legittimazione politica che cercava per accreditarsi come un leader nazionale in grado di attrarre consenso fuori della sola Padania ed in tutto il bacino elettorale del centrodestra. I violenti dei centri sociali pensavano di danneggiarlo all’insegna del “colpire un leghista non è un reato”. E invece gli hanno fatto un favore gigantesco aiutandolo ad uscire dal cortile padano e lanciandolo sull’intero mercato politico nazionale.
Da adesso in poi Forza Italia, Fratelli d’Italia e le altre formazioni del centrodestra, compresa la parte del Nuovo Centrodestra che non si è già venduta al renzismo per sopravvivenza personale, corrono il rischio di subire un progressivo logoramento da parte di Salvini e della sua Lega legittimata dalla violenza degli antagonisti ad essere un’alternativa nazionale alla sinistra plebiscitaria di Renzi. Per frenare il doppio logoramento che gli deriva dalla concorrenza del suo clone di sinistra e del leghista favorito dagli antagonisti, Berlusconi deve incominciare a rivedere la sua contrarietà alle elezioni anticipate. Per non arrivare nudo alla meta del 2018!
Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 23:23