
Il vertice intergovernativo dei Paesi Ue dello scorso mercoledì ha dato il risultato che Renzi auspicava. Una parata di personaggi illustri venuti a Milano per dare una pacca sulle spalle al giovane premier e per dirgli: bravo! Per il resto poca roba. La signora Merkel, come da copione, si è limitata a esprimere gli apprezzamenti di rito allo scolaretto di turno per i compiti svolti e, nel contempo, ha recitato la solita giaculatoria sui possibili lievi allentamenti delle regole di tenuta dei conti pubblici dei paesi Ue. Promessa destinata a restare lettera morta.
Frau Merkel, quando è fuori dai confini nazionali della Germania, evita di dire in pubblico tutto ciò che pensa realmente. Diciamo che il suo understatement tiene conto dell’umore nero delle piazze. Ben inteso non è che sia tutta sua la colpa delle disgrazie occorse ai popoli poco virtuosi. Tuttavia, sentirla parlare stimola reazioni scomposte. E’ come vedere sventolare un drappo rosso sul naso di un toro già incazzato di suo. L’unica non-novità emersa dal vertice di Milano è stata la posizione del premier francese Hollande che ha ribadito l’intenzione di infischiarsene del tetto del 3%, fissato per il rapporto deficit/PIL.
La Francia non prevedere di rientrare nei parametri di Maastricht prima del 2017. Sull’argomento ci si sarebbe aspettati la reazione furente della cancelliera tedesca, che non c’è stata. Perché? A sentire alcuni autorevoli analisti vi sarebbero almeno tre fondamentali ragioni a spiegarne la cautela. In primo luogo, la Francia è un elemento di forza assiale per questa Europa. Lo era prima quando il processo d’integrazione era ancora allo stato embrionale. Lo è a maggior ragione oggi che la trazione della nuova Unione a 28 Stati è sostanzialmente germanica. In secondo luogo, perché la Francia è nell’eurozona.
Un segnale di sfiducia lanciato contro Parigi potrebbe avere ripercussioni sulla stabilità della moneta unica. Le conseguenze finirebbero con il ricadere anche sull’economia tedesca, più di quanto possa accadere nel caso di crisi finanziaria di partner europei meno rilevanti, dal punto di vista dei pesi specifici. In terzo luogo, la Merkel teme che la prolungata austerity rischi di consegnare, alle prossime elezioni, l’Eliseo alle forze della destra radicale che sono dichiaratamente contro il modello d’Europa imposto dalla Germania. Una Marine Le Pen alla guida della Francia significherebbe la fine dei giochi per la cancelliera Merkel. Si ritornerebbe a dare significato alle frontiere interne alla Ue.
La difesa dell’identità nazionale, praticata attraverso politiche economiche protezionistiche, diverrebbe lo strumento principale per mettere fine a un mercato interno continentale visibilmente taroccato. Anche i bambini hanno compreso che i vincoli di finanza pubblica imposti dal gruppo di comando di Bruxelles/ Berlino/ Francoforte stanno favorendo di fatto la concorrenza sleale del sistema produttivo tedesco a danno dei sistemi degli altri paesi dell’eurozona. In concreto, la Merkel aiuterebbe Hollande, fingendo di non vedere lo sforamento francese, per impedire l’ascesa al potere della Le Pen.
Se queste non sono interferenze nella vita democratica di un paese partner, come le vogliamo chiamare? E pensare che c’è chi ancora dubita dell’identità della “Missis X” che decise di far fuori il governo Berlusconi nel 2011. Il giorno nel quale Hollande comunicava la sua decisione di mandare a ramengo i tetti imposti dall’Europa, il nostro premier si precipitava a dichiarare che l’Italia, benché moralmente solidale con il governo francese, si sarebbe scrupolosamente attenuta al rispetto del demenziale limite del 3 per cento. Perché Renzi ha tenuto a gridarlo ai quattro venti? La risposta è semplice, pur nell’amarezza della sua verità: l’Italia non è la Francia. Non pesa quanto la Francia. Non è considerata quanto la Francia. Non è temuta quanto la Francia.
Questo è ciò che comporta l’essere valutati un paese di serie B. Eppure, il nostro sistema manifatturiero è il secondo in Europa, il “made in Italy” fornisce un valore aggiunto di qualità alle merci circolanti sui mercati globali, il contributo delle forze armate italiane nelle missioni di pace è tra i primi, l’Italia è stata nel 2011 il principale contributore netto dell’Ue. Cosa c’è allora che non va in noi? Probabilmente il nostro punto di debolezza è tutto in quel deficit di senso d’appartenenza identitaria a una nazione che fa sembrare i francesi, come i tedeschi, gli irlandesi, gli inglesi, i finlandesi, i polacchi e pure i maltesi, molto più temibili di noi. Fin quando non correggeremo questo difetto grave della nostra condizione in seno a una comunità più ampia, saremo sempre trattati da paria a cui destinare tante bastonate e qualche pallida carezza.
Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 23:29