
È stata fin troppo accorta la sentenza del Tribunale di Busto Arsizio che ha assolto l’ex amministratore delegato di Finmeccanica, Giuseppe Orsi, dall’accusa di aver pagato una maxitangente per la commessa di elicotteri Agusta Westland in India e lo ha condannato a due anni con interdizione per un anno dai pubblici uffici per una frode fiscale relativa a fatture considerate inesistenti. È stata particolarmente accorta perché, come ha rilevato il nuovo consigliere delegato di Finmeccanica, Mauro Moretti, l’assoluzione che esclude la maxitangente consente all’azienda di riaprire il dialogo con le autorità indiane per le forniture di elicotteri e la condanna con interdizione per un anno impedisce ad Orsi di tornare a bussare alla porta dell’azienda da cui è stato estromesso a causa del procedimento giudiziario e chiedere di essere reintegrato nel suo vecchio posto di lavoro.
La grande accortezza dei giudici, però, lascia comunque aperta una questione che non può essere cancellata dalla esistenza della obbligatorietà dell’azione penale e dell’esigenza di combattere la corruzione ovunque essa si possa manifestare. La questione è quella del rinnovamento attuato con il metodo delle azioni penali. Il caso Orsi è emblematico. Mutato il quadro politico c’era l’esigenza di mutare anche gli assetti di vertice della più grande delle aziende pubbliche nazionali. Come ottenere questo risultato visto che lo spoil system nel nostro Paese si fa ma non si dice? La risposta è , come è ormai la regola, la via giudiziaria.
Per incredibile concomitanza di eventi, al mutamento del quadro politico corrisponde l’avvio di una serie di indagini giudiziarie (ovviamente in nome dell’obbligatorietà dell’azione penale e della sacrosanta esigenza di combattere la corruzione dilagante) che ben presto si indirizzano sui vertici da adeguare al nuovo corso e ne provocano la rimozione. Certo, il vertice rimosso, nella fattispecie Giuseppe Orsi, viene tenuto in carcere per ottanta giorni di seguito per una accusa che successivamente viene cancellata dal Tribunale in quanto “ il fatto non sussiste”. L’azienda da cui sarebbe partita la maxitangente perde la commessa e subisce un danno d’immagine a livello internazionale che la indebolisce in maniera disastrosa nei confronti della agguerritissima concorrenza straniera. E l’Italia riesce ancora una volta a confermare agli occhi dell’opinione pubblica interna ed internazionale di avere tutti i titoli per concorrere ai primi posti della classifica dei paesi del malaffare.
Dura lex, sed lex? Nient’affatto. Perché in questi casi (la vicenda di Orsi e di Finmeccanica è solo l’ultima di una lunga serie) la legge è solo il pretesto e lo strumento per operazioni che non hanno nulla a che spartire con la giustizia e che producono dei costi umani, materiali e sociali che non possono essere risarciti in alcun modo.
Nessuno può ripagare Orsi per gli ottanta giorni di carcere ingiusto che ha dovuto subire in barba a qualsiasi presunzione d’innocenza prevista dalla Costituzione. Nessuno può risarcire Finmeccanica ed i suoi dipendenti per la cacciata dal mercato indiano e la perdita di concorrenzialità a livello internazionale. E nessuno può rimarginare l’ennesima ferita che l’immagine del paese ha subito nei confronti del resto del mondo, ferita che non è affatto immateriale ma che si traduce in colpi fin troppo concreti ad una economia ai limiti del tracollo.
Danni collaterali? Nient’affatto. Solo la conferma che o si arriva ad una riforma in senso garantista della giustizia o il Paese va a fondo!
Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 23:21