Il caso De Magistris e   riforma della giustizia

C'è voluta una sentenza emessa da un Tribunale per incominciare a far emergere la convinzione, che tutti condividevano ma che solo pochissimi osavano manifestare apertamente, che un magistrato conduceva indagini in maniera superficiale e approssimativa e con il solo intento di raccogliere una facile popolarità da investire nell'attività politica. Ora Luigi De Magistris è abbandonato da tutti e sollecitato, in nome della legge Severino che lui stesso ha invocato in passato per eliminare dalla scena pubblica i suoi avversari incappati in vicende giudiziarie, a dimettersi da sindaco di Napoli.

Ma dove stavano quei tutti che oggi si ergono a severi tutori delle norme quando De Magistris si lanciava in una indagine senza capo né coda che investiva il Presidente del Consiglio (Romano Prodi) e mezzo governo dell'epoca usando indebitamente intercettazioni per le quali avrebbe dovuto chiedere l'autorizzazione del Parlamento? Certo, ora è sicuramente importante sapere se De Magistris rimarrà al suo posto o se invece, per amore verso la propria città o per forza di legge, si dimetterà da sindaco e consentirà ai cittadini napoletani di scegliere una nuova guida cittadina.

Ma, con tutto il rispetto per i napoletani i quali si possono sempre riconsolare con la macchietta storica del “mellone asciuto bianco, mo' co chi ta vuò piglià”, la risposta alla domanda su dove stavano in severi censori di oggi quando il magistrato De Magistris puntava in alto per avere alta visibilità diventa molto più importante. Addirittura decisiva. Perché riguarda non il passato ma il futuro del nostro paese. Che se continua ad essere segnato da disfunzioni strutturali che consentono l'apparizione di personaggi decisi a sfruttare il potere della legge per conquistare facile visibilità è fatalmente destinato a finire in rovina. E che se, invece di creare anticorpi al proliferare di un virus così devastante, si ritrova con larghi settori della classe dirigente pronti a cavalcare l'onda del facile giustizialismo per i propri interessi particolari, non ha alcuna possibilità di resistere a tale rovina.

Il caso De Magistris, allora, non è solito il caso del Masaniello di turno che si rivela inadeguato sia alla magistratura che alla città di cui è diventato amministratore. E' la prova lampante, proprio grazie al comportamento ridicolo di chi ha avuto bisogno di una pronuncia della magistratura per avere l'illuminazione di una anomalia politica fin troppo evidente, della assoluta necessità di realizzare al più presto la tanto invocata riforma della giustizia. Una riforma, però, che non si limiti a toccare alcune questioni marginali ma di grande effetto popolare come le ferie dei magistrati o una responsabilità civile di fatto sempre scaricata sulle spalle dello stato e dei contribuenti, ma affronti il punto centrale che la vicenda De Magistris pone.

E' legittimo che un singolo magistrato, in nome dell'autonomia e della indipendenza delle funzioni che svolge, possa mettere in crisi un governo, provocare la rovina di un settore economico, decidere la composizione delle assemblee legislative selezionando eletti e candidati ed , in ultima analisi, alterare il corretto funzionamento dello stato di diritto e della democrazia liberale al solo fine della visibilità personale? La sentenza su De Magistris dimostra che la stessa magistratura ha la capacità (alle volte) di riconoscere e correggere le proprie disfunzioni. Ma la possibilità che queste disfunzioni producano nuove e più devastanti conseguenze rimane. E per eliminare questa possibilità non c'è altra strada che eliminare le disfunzioni. Con una riforma vera e radicale!

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 23:24