Se Barack Obama   è aggredito dalla realtà

Ormai, come a suo tempo lo furono tanti altri liberal, il discorso di Barack Obama all’Onu denota che anche il presidente più progressista e più pacifista della storia recente americana, inizi ad essere “aggredito dalla realtà”. La realtà della guerra e del terrorismo, che l’America non vuole, ma che continuano ad esistere indipendentemente dalla sua volontà.

Questa realtà, nel 2001, materializzatasi sotto forma di tre aerei che si schiantavano sulle Torri Gemelle e sul Pentagono, è riuscita a trasformare di colpo George W. Bush dal presidente isolazionista che era stato fino a quel momento, in un interventista convinto, alla Woodrow Wilson, intento a esportare la democrazia nel mondo per avere un mondo sicuro per la democrazia. Il pacifista Obama, posto di fronte a un’altra realtà traumatica, quella dell’aggressione dell’Ucraina da parte della Russia e della nascita di un nuovo regime totalitario islamico in Siria e Iraq, si è per lo meno reso conto che deve cambiare toni.

Nei confronti del terrorismo, soprattutto, il discorso di Barack Obama è quasi del tutto intercambiabile con quello di George W. Bush del 2001. Il network televisivo Fox News ce li ha mostrati entrambi, passaggio dopo passaggio e a parte qualche piccola differenza lessicale, i concetti sono perfettamente gli stessi. Sono soprattutto tre. Il terrorismo non rappresenta legittimamente l’Islam: lo diceva anche Bush, alla faccia di chi lo tacciava di voler provocare uno scontro di civiltà. Lo ribadisce Obama. L’Isis, così come Al Qaeda, è esplicitamente un movimento islamico, ma i metodi che utilizza sono più nocivi per i musulmani (che costituiscono la maggior parte delle sue vittime) che non per i non-musulmani, violano tanti precetti musulmani quanti ne violerebbe un nemico dell’Islam. Oltre al fatto che un altro Islam è possibile e sia Bush che Obama hanno sempre cercato alleati musulmani per lottare contro i terroristi.

Il secondo principio è quello della lotta comune: nessuno dei due presidenti ha mai voluto muoversi unilateralmente. Bush non lo ha fatto neppure in Iraq, nel 2003, quando si è premurato di costituire una coalizione ad hoc per intervenire, la cosiddetta Axis of the Willings. Allo stesso modo, anche Barack Obama ha costituito una nuova “Axis” per intervenire in Iraq e Siria, grosso modo con le stesse modalità e gli stessi tempi. Solo la cocciutaggine ideologica di molti giornalisti e professori permette ancora di vedere Bush come il presidente nazionalista e unilateralista e Obama come quello che agisce in nome della sicurezza collettiva.

Il terzo è l’esclusione della trattativa con i terroristi. Sia Bush che Obama, su questo sono chiarissimi. Gli Usa non hanno mai negoziato per la liberazione degli ostaggi. Obama ha fatto una sola eccezione, per liberare un soldato statunitensi nelle mani dei Talebani da 5 anni, a guerra in Afghanistan ormai quasi conclusa. Ma il dramma delle decapitazioni che abbiamo visto in Iraq è il seguito di raid falliti volti alla loro liberazione. Gli Usa sono flessibili e pronti a negoziare con ogni Stato riconosciuto, ma non trattano (e non pagano riscatti) quando hanno a che fare con bande armate come l’Isis: una volta oltrepassata la linea del terrorismo non si accetta alcun compromesso.

Di fronte alla minaccia terrorista, dunque, più ancora che di fronte alla minaccia russa, Obama deve parlare come Bush. Perché è l’unico modo possibile di trattare il terrorismo. Non ci sono alternative percorribili. Certo, questo cambiamento deve comportare una fatica notevole per un presidente nato e cresciuto politicamente in ambienti in cui tutte le colpe erano addossate agli Usa: colpa dell’America se c’è una tensione internazionale, colpa dell’America se il terzo mondo soffre, sempre colpa dell’America se c’è terrorismo, visto come una reazione alla prepotenza yankee e non come un’aggressione. Questa era la predicazione costante e continua (condita anche in salsa anti-semita) nella chiesa del reverendo Wright, primo ispiratore spirituale dell’attuale presidente. Obama ha vinto le elezioni del 2008 promettendo di porre fine alla guerra in Iraq, dove oggi deve intervenire di nuovo. Le ha vinte contestando la “guerra infinita” al terrorismo e, l’altro ieri, ha ammesso che il conflitto potrebbe durare anche anni o decenni. È la realtà, bellezza, e tu non ci puoi fare niente.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 23:22