Pratica di Mare,   funerali solenni

Il vertice dei Paesi aderenti alla Nato che si tiene in questi giorni nella cittadina gallese di New Port è destinato a essere ricordato negli annali di storia perché dovrebbe sancire la fine del partenariato strategico con la Russia. Si tratta di una decisione che rimette indietro le lancette dell’orologio di un quarto di secolo.

Il processo di graduale avvicinamento russo all’occidente democratico aveva preso il via dopo la caduta del muro di Berlino, nel 1989. Tuttavia, il percorso non era stato lineare perché aveva incontrato ostacoli nelle problematiche, inevitabili, prodotte dallo smantellamento dell’ex impero sovietico. Ma con la stipula degli accordi di cooperazione sottoscritti il 28 maggio 2002 dai Capi di Stato e di Governo dei Paesi membri della NATO e della Federazione Russa nella cittadina laziale di Pratica di Mare, la lunga stagione della “guerra fredda” poteva dirsi definitivamente archiviata.

Il patto avrebbe avuto un effetto di straordinaria intensità nella riconfigurazione del quadro strategico globale. L’integrazione delle forze dell’Alleanza Atlantica e della Federazione russa avrebbe significato, in primo luogo, la risposta più efficace che l’Occidente, finalmente ricomposto, potesse dare all’incombente minaccia del terrorismo di matrice islamica. Non si trattava solo di accordarsi per non farsi più la guerra.

Con la istituzione del Cooperation Council i nemici di un tempo accettavano di cooperare per la pace e la sicurezza globale. A Pratica di Mare era passata l’idea che le informazioni sensibili potessero essere condivise dai servizi di intelligence dei paesi firmatari nel quadro della comune lotta al terrorismo. Non solo. Veniva prospettata la possibilità che le forze di difesa di questi Paesi potessero integrarsi dal punto di vista operativo, addestrandosi a svolgere insieme missioni di peacekeeping e d’interdizione delle attività criminali in tutti i quadranti dello scacchiere internazionale.

Cosa dovesse essere realmente l’organismo congiunto, concepito a Pratica di Mare, lo spiegò con anglosassone puntigliosità l’allora segretario generale della Nato, Lord George Robertson: “Il Consiglio Nato- Russia non dovrà solo discutere, ma agire, non solo analizzare ma ordinare, non solo deliberare ma prendere decisioni operative. Siamo profondamente impegnati ad assicurare che queste aspettative non siano disattese. E se abbiamo bisogno di ricordarci del perché, allora, c’è una semplice risposta. C’è un comune nemico fuori di qui”.

Ad ascoltarlo c’erano i grandi del mondo che, a quel tempo, erano davvero grandi. Uomini di Stato e politici che, per quanto potessero più o meno piacere, avevano qualità. Oggi, nelle uggiose atmosfere del Galles, un’allegra brigata di capi e capetti di Stato sta celebrando il funerale di quella stagione e di quello spirito costruttivo. Si sta demolendo quanto faticosamente era stato edificato. Il mondo sarà migliore adesso che avremo rialzato gli steccati che un tempo ci separavano? Sarà più efficace la lotta a quel terrorismo fondamentalista che, grazie alla scriteriata politica dell’attuale presidente degli Stati Uniti, ha rialzato la cresta più ringalluzzito che mai? Siamo proprio convinti che girando lo sguardo verso est in cerca di improbabili aggressori, nel frattempo non precipiti il fronte meridionale dove sono appostati i nostri nemici, quelli veri, criminali tagliagole in carne ed ossa? Finora, la politica di cooperazione tra Nato e federazione Russa ha reso buoni frutti, in particolare nella gestione delle crisi nella regione mediorientale.

Mosca si è dimostrata un partner fondamentale nella definizione di dossier molto complessi come, ad esempio, quello sullo stop alla proliferazione del nucleare iraniano. Se si volesse affrontare con speranza di successo la delicata questione della Siria e dell’insorgenza del sedicente califfato dell’Isis, nelle aree a ridosso della frontiera siriano-irachena, bisognerebbe ritornare al dialogo con la federazione russa per fare nuovamente fronte comune. In politica estera, le qualità personali degli uomini di Stato e dei politici chiamati a prendere decisioni capitali contano moltissimo. Per questa ragione, la consapevolezza di essere attualmente nelle mani di una classe dirigente occidentale, in complessivo, di mediocre livello, ci preoccupa non poco.

Quindi, checché ne dica la schieratissima stampa di regime, c’è il rischio che questi odierni “player” occidentali, tanto arroganti quanto impreparati, ci portino dritto a sbattere. Per trattare situazioni complesse occorrono personaggi dotati di carisma e di grandissima esperienza. Purtroppo non è che in giro ne siano rimasti in tanti. Tuttavia, qualcuno c’è che potrebbe contribuire a trovare una soluzione con la Russia di Putin che ci risparmi l’osso del collo. Il nostro insufficiente capo del governo lo richiami in servizio sottraendolo agli ozii obbligati dei servizi sociali. C’è bisogno di lui. Faccia presto Renzi a fare quella telefonata prima che sia troppo tardi per tutti. Sapete bene di chi si parla.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 23:23