Poca economia e troppe chiacchere

L’economia si fa con i numeri e non con le chiacchiere, anche se il premier Matteo Renzi sembra non essersene reso conto, o finge di farlo. Ospite di una puntata estiva di “In Onda”, talk politico in onda su La7, l’ex sindaco di Firenze ha sciorinato una impressionante sequenza di sofismi e di argomentazioni capziose per spiegare l’evidente insuccesso numerico della sua ricetta economica, della quale ha ribadito la correttezza fondamentale. Toccando il delicato tasto di un Pil ancora in calo (dopo che lo stesso Renzi, nel presentare il suo fantasmagorico cronoprogramma, aveva considerato troppo pessimistico l’aumento dello 0,8%, previsto dai suoi predecessori), il leader dei rottamatori ha candidamente dichiarato che poteva andarci ancor peggio, visto che nel 2012 e nel 2013 la perdita di ricchezza prodotta è stata ancor maggiore.

Ora, bisogna avere proprio una inossidabile faccia di bronzo per presentare l’ennesimo trimestre economico in negativo – sarebbe l’undicesimo su gli ultimi dodici – come uno scampato pericolo dopo aver fucilato il suo campagno di partito Enrico Letta, promettendo una significativa scossa in grado di farci tornare rapidamente a crescere. Ma non basta, per quanto riguarda l’azione intrapresa dal suo Esecutivo, Renzi ha parlato di mirabolanti risultati messi in ombra dalla cattiva comunicazione della stampa e, sconfinando nel campo della superstizione, quotidianamente sottoposti al malevolo giudizio dei tanti gufi in servizio attivo permanente. Eppure questi mirabolanti risultati non sono stati colti neppure dai sempre molto attenti investitori finanziari.

Tanto è vero che lo spread sui titoli pubblici ha ripreso a correre – attualmente stiamo messi peggio della Spagna – e gli indici principali di Piazzaffari sono assai più bassi rispetto al momento in cui Renzi è entrato nella stanza dei bottoni. Tutto questo segnala due possibili spiegazioni: o ci troviamo di fronte al più incompreso dei premier, boicottato da una ondata mondiale di immotivato scetticismo, oppure i mercati – neutrali per definizione – hanno fiutato la sostanziale cialtroneria di una linea politica incapace di realizzare le sempre più necessarie riforme strutturali. Riforme strutturali che dovrebbero basarsi in primis su una riduzione a regime delle tasse e della spesa pubblica. Spesa pubblica che sul piano delle varie amministrazioni pubbliche, ossia il costo per far funzionare la macchina statale, è cresciuta in modo mostruoso nei primi cinque mesi di quest’anno, anche se il premier Renzi non sembra essersene accorto, passando dai 164 miliardi del 2013 ai 192,6 miliardi del 2014. Ciò, in soldoni, ha provocato uno sbilancio di circa 25 miliardi nei conti pubblici.

Questi non sono numeri che indicano una ripresa, questi sono (ahinoi) numeri da bancarotta.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 23:28