
A volte Nemesi, figlia di Zeus, tarda ad agire ma, quando lo fa, chi ha orecchie per sentirla non può equivocarne il messaggio. Poco fa, anche se non era necessario, il solerte ministro Padoan, comprensibilmente intento a difendere la politica economica del Governo, ha elencato brevemente le misure opportune per uscire dalla recessione purtroppo confermata dagli ultimi dati Istat.
Fra queste, senti senti, ha auspicato pubblicamente che coloro che hanno usufruito dei famosi ottanta euro, li investano in consumi. Circa cinque anni fa la stessa cosa era stata detta da tale Silvio Berlusconi (spendete, comprate!) e fu subito crocefisso da una inqualificabile canea promossa dalle sinistre che si strapparono le vesti in nome di chi, non avendo risorse economiche sufficienti, si sarebbe dovuto sentire offeso dall'invito del miliardario presidente del Consiglio dell'epoca. E' evidente che, sia Padoan sia Berlusconi (e, fra parentesi, la stessa pubblicità), si riferivano a chi, disponendo del reddito necessario, preferiva mettere al sicuro le poche o molte risorse finanziarie piuttosto che spenderle.
Un antico e, in parte, saggio principio della nostra tradizione italiana e contadina che gli economisti contemporanei, anche nostrani ma cresciuti nel pieno dell'economia dei consumi, tardano ancora a contestualizzare sociologicamente nel seno delle diverse culture nazionali. E' più che mai chiaro che la nuova e non inattesa conferma della nostra recessione non è il frutto di politiche economiche sbagliate - siano esse state di Berlusconi, di Monti, di Letta o, oggi, di Renzi - perchè, come giustamente aveva precisato tempo fa Tremonti, la 'crescita' non la fa il Governo bensì gli uomini che lavorano, intraprendono, rischiano. Un Governo può fare molto per bloccare l'economia e anche per aiutarne la crescita, ma solo se essa c'è nell'animo dei governati.
Peraltro, siamo sinceri, cosa c'è nell'animo, per così dire, 'standard' di noi italiani? Lo dice chiaramente il nome di una testata che, anni fa, primeggiava nelle edicole siciliane ma il cui significato, con più sottile ipocrisia, valeva e tuttora vale in tutto il Paese: Il Posto. Tanto di cappello a coloro che, sperando in una politica economica, e soprattutto, di contabilità nazionale, più dinamica e magari 'a rischio', non vedono l'ora di darsi da fare, inventare e intraprendere. Tuttavia, invece che invocare genericamente un ideale ormai noioso di 'cambiamento', che ognuno vorrebbe riguardasse gli altri, sarebbe tempo che ci dessimo una mossa e capissimo cosa tocca a noi e cosa a 'Cesare'.
In questa impresa, Cesare, lo Stato italiano, per voce del suo Governo, dovrebbe semplicemente dichiarare che il 'Tesoro' non c'è più e, per la verità, non c'è mai stato se non sotto forma di ricchezza derivata da quella che produciamo e dalle imposte che paghiamo. E che, se i tempi allegri sono ormai definitivamente finiti come non potevano che finire, dobbiamo accettare l'idea che la nostra misura e il nostro futuro dipendono più che mai da noi e non dalle 'istituzioni'. Siano esse italiane o europee.
Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 23:24