
Ci sono molti modi per giustificare le scelte politiche ma quello che è stato recentemente adottato dal Nuovo Centrodestra, in cui figurano gli ex socialisti Sacconi, Cicchitto, Colucci e l’ex radical-berlusconiano convertitosi al napoletanismo Quagliariello, appare il più singolare di tutti.
Il problema di Ncd è quello dell’identità. Nato per scindere le proprie fortune politiche da quelle considerate ormai tramontate del leader dell’allora Popolo delle Libertà, Silvio Berlusconi, il partito guidato da Angelino Alfano, pur avendo cercato di evitare l’errore compiuto a suo tempo dagli scissionisti di Gianfranco Fini non rinnegando la propria collocazione nel centrodestra, è stato percepito dal corpo elettorale alle ultime Europee come un “cespuglio” centrista destinato ad essere assorbito dalle forze politiche maggiori.
Per modificare questa percezione ed evitare una sorte destinata a salvare qualche singolo ma a cancellare il partito, la componente politicamente più attrezzata di Ncd (quella siciliana di Alfano e Schifani sembra essere solo ministeriale) ha elaborato la teoria della fine dell’unità dell’area del centrodestra e dell’avvento di due destre distinte, distanti e destinate a non riaggregarsi mai più a causa dell’inconciliabile diversità delle rispettive identità. Queste due destre dovrebbero essere speculari a due sinistre, una riformista ed a vocazione governativa e l’altra estremista e destinata all’opposizione. E, naturalmente, dovrebbero essere formate da un lato dalla destra repubblicana, europea, liberal-popolare e gollista rappresentata dal Nuovo Centrodestra, Unione di Centro e da parte di Scelta Civica; e l’altra euroscettica, leghista ed estremista del resto dell’attuale centrodestra.
Secondo la teoria dei Sacconi, Cicchitto, Quagliariello, quindi, il sistema politico dovrebbe assumere uno schema quadripolare in cui il Governo del Paese spetterebbe alla destra gollista alleata con la sinistra riformista e l’opposizione toccherebbe agli opposti estremismi della destra euroscettica e della sinistra massimalista. Ma questa teoria è minata da un difetto di fondo. Non ha i numeri per reggere e, soprattutto, non ha i presupposti politici per concretizzarsi. I numeri, infatti, indicano che la destra pseudo-gollista supera a stento il quattro per cento, mentre la cosiddetta sinistra riformista del Partito democratico supera il quaranta e che il resto dei partiti del centrodestra (Forza Italia al 17, Lega al 6 e Fratelli d’Italia al 3,5) potrebbero costruire insieme l’unico schieramento realmente alternativo a Matteo Renzi.
A loro volta i presupposti politici indicano che la sinistra non è affatto divisa, ma è ancora unita (a meno che Sacconi e compagni non considerino il Pd in via di scissione con la minoranza disposta a confondersi con i grillini). E che buona parte della cosiddetta destra gollista tutto può essere tranne che gollista visto che né Casini, né Cesa né parte di Scelta Civica si è mai convertita al presidenzialismo. E visto, soprattutto, che il sistema presidenziale francese realizzato dal generale De Gaulle presuppone un sistema bipolare con l’alternativa tra area moderata e area progressista e non un sistema quadripolare in cui le divisioni del centrodestra e la scelta antisistema di Grillo rendono Renzi il candidato senza alternative.
E allora, che significato può avere lanciare una teoria come quella delle due destre? La risposta è semplice. Nascondere la vera natura di un Ncd che, per sopravvivere, ha scelto di essere la destra renziana. Quella collaborazionista a ogni costo. Non per l’Europa, il presidenzialismo o il liberal-popolarismo. Ma per le poltrone.
Aggiornato il 09 aprile 2017 alle ore 16:43