Diamo il benvenuto  al Quarto Reich

La vittoria della Germania ai mondiali di calcio può essere considerata una metafora dell’affermazione, nel mondo, della forza tedesca? Probabilmente sì.

Nel senso che il gioco praticato dalla nazionale di Joachim Löw è stato un condensato di organizzazione nella disposizione della squadra in campo, di tenuta atletica dei calciatori, di chiarezza di idee e di schemi, di motivazioni individuali e collettive di tutti i componenti del team. Giusto l’opposto di quello che hanno mostrato le altre squadre presenti alla competizione. A cominciare dalla rappresentanza italiana per finire alla non-squadra brasiliana.

Nella notte mondiale del Maracanà ad accogliere i trionfatori c’era la signora Merkel. Il suo entusiastico abbraccio alla squadra è stato il segno della coesione di un popolo che si riconosce in un ritrovato “spirito tedesco”. Non c’è da stupirsi, perché è un momento, preparato negli anni, che alla Germania va tutto per il meglio. Le stime del governo di Berlino sul Pil 2014 salgono al + 2 per cento. L’economia della nazione è avviata su una strada di ripresa stabile e diffusa a tutti i settori della società. Il tasso di disoccupazione è al 5 per cento e gli indicatori lo danno in ulteriore discesa nei prossimi mesi. Il surplus della bilancia commerciale nello scorso mese di maggio ha chiuso in rialzo a + 17,8 miliardi di euro. Le esportazioni sono immensamente più forti delle importazioni.

Grazie alle politiche di rigore imposte agli altri Paesi dell’area euro, le banche tedesche, esposte con gli Stati più deboli, si stanno allontanando a grandi passi dal rischio di default anche per effetto dell’entrata in vigore, dal luglio 2012, del meccanismo europeo di stabilità (Mes), meglio noto come fondo “salva Stati”. Il buono stato di salute dei conti pubblici e privati ha indotto la cancelliera Merkel a osare di più in politica estera. Da qualche tempo è in corso la prova di forza con la Russia sul destino dell’Ucraina che la Germania vuole attrarre nella sfera d’influenza della Ue.

La Merkel, come molti suoi connazionali, nei momenti positivi della storia del Paese proprio non ce la fa a resistere alla tentazione dell’allargamento a Est del suo “spazio vitale”. Per assecondare questa mai sopita ambizione e facendo leva sui comportamenti pressoché confusi del partner statunitense, la cancelleria tedesca sta trascinando l’intera Unione in un pericoloso braccio di ferro tra Occidente e Federeazione russa di cui non si sentiva il bisogno. Ma la convinzione di aver preso lo scettro del potere europeo per usarlo a proprio piacimento rischia di portare il governo di Berlino fuori dai binari del consentito.

È notizia di questi giorni che la Merkel si sia fatta promotrice di un vertice a quattro con gli Usa, la Francia e la Gran Bretagna per discutere della crisi in Palestina tra Israele e la forza terrorista di Hamas che padroneggia la Striscia di Gaza. Ora, a parte le ragioni di opportunità che consiglierebbero al governo tedesco di tenere un profilo basso quando in gioco ci sono questioni che attengono la sicurezza dello Stato ebraico, non si comprende del perché la Cancelleria tedesca abbia dimenticato di coinvolgere il governo italiano, visto che, in teoria, dal 1 luglio scorso toccherebbe a noi la presidenza di turno dell’Unione europea. In realtà, si comprende benissimo il motivo della “dimenticanza”.

La Germania incomincia a considerare il ruolo delle istituzioni comunitarie soltanto un orpello formale posto a suggello di una sostanza che dice altro. Per l’establishment tedesco, al momento, la volontà della Germania è la volontà dell’Europa. Non può essere diversamente. Quindi, se c’è da tagliare nastri, lanciare appelli e scambiare visite di cortesia lo facciano pure gli altri. Quando, però, c’è da decidere, allora la cosa diventa affare di pochi. Se lo sapessero fare, alla fine ci potremmo pure stare. Conosciamo i limiti oggettivi e soggettivi dei nostri rappresetanti politici, per cui sarebbe anche inutile disperarci per i loro destini individuali.

Tuttavia, la paura di andare a sbattere com’è già accaduto in passato, per un timone comunitario lasciato nelle sole mani tedesche, è concreta. Il fatto è che, in Germania, con la ricchezza, è cresciuta anche l’arroganza. È questa è cosa molto pericolosa. Con quale logica, la signora Merkel pensa di affrontare la crisi in Medioriente tenendo fuori dal dialogo un player come la Russia che in Medioriente c’è e conta? Il guaio è che a fare da contrappeso all’eccessivo dinamismo tedesco non ci sono gli alleati che avrebbero dovuto essere più attenti al cambiamento repentino di clima. Invece, siamo in presenza di un’amministrazione statunitense, quella di Obama la quale, dopo i disastri combinati per colpa di scelte di politica estera sbagliatissime, appare sempre più come un pugile suonato che continua a sferrare pugni a vuoto non riuscendo più a vedere dove sia l’avversario.

Una Gran Bretagna, trascinata per la collottola al tavolo europeo che mostra crescente distacco per ciò che si decide sul continente e la Francia di Hollande, il piccolo Pétain, supina, se possibile più di quella di Sarkozy, alla volontà dell’oltre Reno. In questo clima surreale appare chiaro che Berlino intenda occupare lo spazio che altri hanno deciso di lasciare libero. E lo fa con la supponenza del più forte. Abbiamo già conosciuto, nella Storia, momenti di altrettanta tracotanza. La prudente politica bismarckiana era alla base della nascita del Secondo Reich, sul finire dell’Ottocento. Tuttavia, quel periodo è ricordato in modo negativo per il pretenzioso autoritarismo indotto dalle aspirazioni imperialiste della leadership guglielmina.

Giambattista Vico parla di “corsi e ricorsi” storici. Sarebbe molto sgradevole se, domani, ci svegliassimo tutti, senza averlo deciso e senza neppure averlo saputo prima, in un nuovo Reich, diversissimo dai precedenti, ma pur sempere Reich. Il Quarto.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 23:21