Il dito e la luna   del “Corsera”

Oggi scrivo per fatto personale e rispondo agli articoli a firma di Nicola Catenaro e Sergio Rizzo, pubblicati ieri sul “Corriere della Sera”, in cui mi viene contestato di essere al tempo stesso direttore de “L’Opinione delle Libertà” e presidente del Parco Nazionale del Gran Sasso e di Monti della Laga e di aver firmato, nella qualità di responsabile dell’ente pubblico, un atto di proroga di un anno per il direttore del Parco, Marcello Maranella.

Egregio direttore, secondo il tuo giornale lo scandalo da denunciare all’opinione pubblica sarebbe duplice. Quello determinato dalla circostanza che alla guida di un ente pubblico ci sia un giornalista che, oltre a dirigere un giornale politico sostenuto dal finanziamento pubblico, si occupa anche di lotta alla malagiustizia nell’ambito dei Club Forza Silvio. E quello che il direttore del Parco, Marcello Maranella, assunto in qualità di dirigente temporaneo nel 2004, sia rimasto in carica per dieci anni di seguito ed abbia ottenuto una ulteriore proroga di un anno per le stesse ragioni di “necessità ed urgenza” che avevano motivato il suo primo incarico.

Rispondo alle argomentazioni scandalizzate del Corriere della Sera con una sola considerazione. Che se i colleghi, invece di ricoprirsi dei panni dei pubblici inquisitori-moralizzatori, si fossero limitati a svolgere il mestiere per cui sono pagati dai noti gruppi di potere attualmente proprietari del pronipote del giornale di Albertini, avrebbero potuto fornire ai propri lettori un servizio più completo, più corretto ed anche più clamorosamente esplosivo.

Risolvo rapidamente la parte che mi riguarda personalmente e che tanto tormenta lo stimato collega Sergio Rizzo. Gli ricordo, infatti, che in Italia i vertici degli enti pubblici, sia quelli maggiori che garantiscono stipendi astronomici per i beneficiati sia quelli come gli enti territoriali non economici come i Parchi che assicurano una retribuzione virtuale (poco più di mille euro mensile), sono di nomina politica. Il settore dell’ambiente non sfugge a questa regola. Anzi, se il collega Rizzo avesse approfondito avrebbe scoperto che la legge 394 che regola ancora l’intero sistema è stata realizzata per svolgere la funzione di ammortizzatore sociale di un mondo ambientalista composto da una miriade di associazioni tutte gravitanti nell’orbita della sinistra italiana.

Ha ragione Rizzo nel rilevare l’anomalia che vede un giornalista di cultura liberale e per nulla pentito di non essere di sinistra alla guida del Parco Nazionale del Gran Sasso e dei Monti della Laga. Ma è un’anomalia che ho perseguito (l’unica chiesta ed ottenuta in tantissimi anni) in quanto abruzzese desideroso di poter contribuire, grazie anche a quell’esperienza che ho maturato in qualche decennio di professione giornalistica portata avanti con una autonomia e con una dignità che mi viene riconosciuta, alla difesa ed allo sviluppo di un territorio dove sono nato ed a cui sono profondamente legato.

È vero, non sono un ambientalista militante e schierato, dirigo un giornale di nicchia erede di una tradizione liberale che risale al 1847, data di fondazione de L’Opinione. È ancora più vero che ho usato questo giornale ed il finanziamento pubblico che ne ha garantito la sopravvivenza, per formare alcune decine di giornalisti di cultura liberale e democratica che oggi figurano onorevolmente nelle principali testate italiane. In più, visto che su influenza di Marco Pannella, mio più autorevole conterraneo, sono un garantista fin dall’inizio degli anni Settanta, ho dato vita al Tribunale Dreyfus per difendere le vittime della malagiustizia e della malainformazione. Ed oltre ad essere orgoglioso di farlo in piena autonomia cerco di trasferire nella gestione del Parco del Gran Sasso e dei Monti della Laga quella cultura liberale rispettosa dei diritti e delle garanzie a cui mi sento legato.

Nello svolgimento delle mie funzioni, che non sono di gestione amministrativa ma di indirizzo, non ho mai privilegiato in alcun modo la logica dell’appartenenza ma solo quella della responsabilità. Tant’è, ad esempio, che avendo trovato al mio arrivo un direttore nominato in precedenza e di cui conoscevo benissimo la storia e l’orientamento politico diverso dal mio ed avendone verificate la competenza e la capacità, non ho avuto mai alcuna esitazione a confermarlo nell’incarico per non perderne la preziosa professionalità.

Vengo, allora, al secondo scandalo. E anche in questo caso mi duole dover registrare, da giornalista, che i colleghi del Corriere della Sera sono stati un po’ troppo frettolosi nel riprendere acriticamente una lettera a “Il Centro” di un ex consigliere comunale di Castel Del Monte che non conosce o finge di non conoscere i termini della vicenda. È dal 2007 che il Parco Nazionale del Gran Sasso e dei Monti della Laga non ha un Consiglio direttivo che, a termini di statuto e di legge 394, deve proporre una rosa di tre nomi, scelti all’interno di un apposito elenco, al ministero dell’Ambiente per la nomina del direttore. Il Consiglio direttivo non è nominato da presidente ma in parte dalla Comunità del Parco formata dai sindaci dei 44 comuni presenti nell’area protetta ed in parte direttamente dai ministro dell’Ambiente.

Il presidente del Parco può sollecitare i rappresentanti dei comuni ad indicare i nomi di loro competenza, ma a causa delle elezioni sfalsate che mutano in continuazione gli equilibri politici della Comunità le sue sollecitazioni rimangono spesso lettera morta. E può anche emanare un bando per la formazione della terna dei candidati alla direzione tra quelli presenti nell’elenco dei direttori. Ma se lo fa compie un atto che non avrà alcun effetto pratico. Perché l’albo dei direttori è in disuso da parecchi anni tanto da essere uno dei punti su cui si concentra la richiesta di modifica della legge. E, soprattutto, perché senza Consiglio direttivo (la cui nomina non spetta al presidente ma solo al ministro) nessuna terna può essere fissata ed inviata al ministero. Come garantire la continuità dell’ente, allora, in assenza di Consiglio direttivo ed in scadenza di contratto per un direttore che svolge l’indispensabile funzione amministrativa?

Se Rizzo si fosse informato, magari con una semplice telefonata rivolta ad un collega con il quale ha condiviso una passata esperienza professionale, avrebbe scoperto che il problema dell’assenza dei Consigli direttivi affligge da tempo gran parte dei Parchi italiani. I ministri si susseguono, i Consigli direttivi non vengono nominati e le proroghe si moltiplicano per impedire che gli enti, a cui è demandato il compito di tutelare l’ambiente del territorio nazionale, si paralizzino.

Su chi ricade, allora, la colpa delle tante proroghe? Può essere che qualche ministro abbia dimenticato o sottovalutato il problema. Ma l’esperienza ormai maturata al Gran Sasso-Laga, che si estende per 150mila ettari in tre regioni e comprende cinque province e 44 comuni, mi spinge a rilevare come la colpa non sia solo delle persone ma di un sistema-ambiente regolato dalla legge 394 nato in maniera volutamente farraginosa e paralizzante. È la legge, allora, da correggere profondamente e, soprattutto, rapidamente. Lo scandalo, quello vero allora, è che il Corriere della Sera scambi il dito con la luna e non sfiori neppure il problema che tra le tante riforme da realizzare quella del sistema-ambiente (proprio perché è in questo sistema che si può giocare una parte decisiva della ripresa e dello sviluppo del Paese) debba essere tra le prime da preparare e realizzare. Forse la dimenticanza dipende dal fatto che la questione non tocca gli interessi di alcuni dei proprietari del grande giornale moralizzatore, quelli che per decenni hanno campato con gli aiuti di stato? A peccar male, diceva il Cardinale Bellarmino imitato successivamente da Andreotti, si fa peccato. Ma spesso ci s’azzecca!

Scusa la battuta di natura risarcitoria. Ma la questione è importante e mi auguro che, pubblicando questa mia risposta, il Corriere della Sera decida di affrontarla. Cordiali saluti.

 

 

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 23:25