
All’elenco delle mezze riforme avviate dal Governo di Matteo Renzi ora si aggiunge quella sulla Giustizia. Che verrà sbandierata dai paladini del renzismo rampante come una svolta epocale dopo vent’anni di sterili battaglie tra garantisti e giustizialisti. Ma che nei fatti non è solo una riforma accennata e neppure portata fino a metà, ma è una vera e propria riforma fasulla, che illude di aver prodotto una qualche soluzione ma che nei fatti rende ancora più grave il problema a cui si avrebbe voluto dare una risposta positiva.
Come quella del Senato, del lavoro, del sistema fiscale o di qualsiasi altra iniziativa di cambiamento presa dal Governo Renzi, quella della Giustizia della riforma ha solo l’etichetta. In realtà, a stare almeno alle anticipazioni, è una ridotta accozzaglia di misure che hanno come unico tratto in comune la volontà di lisciare il pelo al forcaiolismo imperante. Quello che ottusamente considera l’allungamento dei termini di prescrizione come il modo più brillante per stroncare le manovre dilatorie di imputati ed avvocati. E non si rende conto che dare ai magistrati la possibilità di allungare ogni ragionevole limite la durata di indagini e processi significa condannare il sistema giudiziario alla paralisi infinita. E quello che, a dispetto dell’esperienza, è convinto che reintroducendo il reato di falso in bilancio si possa combattere meglio la corruzione. E si rifiuta di comprendere che nel mettere nelle mani di qualsiasi pubblico ministero la possibilità di paralizzare un’azienda con il pretesto del bilancio non trasparente, si assesta il colpo di grazia ad un’economia che per ripartire non ha bisogno di più manette ma dell’esatto contrario.
Può essere che nella riforma renziana della giustizia qualche trovata sia valida. Come, ad esempio, quella che dovrebbe realizzare un sistema di elezione diverso dei componenti del Consiglio Superiore della Magistratura ed estirpare la malapianta del correntismo politico nell’organo di autogoverno della Magistratura. Ma non basta una mezza misura (peraltro ancora allo stadio di intenzione) per fare una riforma vera. Perché se non si affrontano le questioni più intricate e dibattute come la separazione delle carriere, la responsabilità diretta (non quella a carico dello Stato) dei magistrati e la tutela dei diritti personali dei cittadini attraverso una regolamentazione seria delle intercettazioni e la limitazione della custodia cautelare solo ad alcuni reati particolari, non si potrà parlare di vera e completa riforma ma solo di una riforma a metà. Cioè della solita riforma fasulla che il Governo del giovane Premier riesce a propinare al Paese non avendo la capacità, la volontà e la forza necessarie per realizzare cambiamenti reali e profondi nella società italiana.
Si sbaglia, però, se ci si limita a catalogare la riforma fasulla della giustizia come l’ultima della serie, in tutto e per tutto simile a quelle che l’hanno preceduta e che con ogni probabilità la seguiranno. Sul terreno della giustizia si gioca la credibilità complessiva della volontà riformatrice del Governo Renzi. La giustizia, in altri termini, è la cartina di tornasole della serietà degli intenti riformatori. Se lunedì prossimo il Consiglio dei Ministri varerà il provvedimento preannunciato, a crollare sarà l’affidabilità agli occhi degli italiani dell’Esecutivo e della sua maggioranza. Soprattutto se poi la validità di una riforma piena della giustizia non sarà certificata da quell’amnistia che da sempre è la pietra angolare di qualsiasi provvedimento di innovazione del sistema giudiziario. Ma come reagire nel caso della solita riforma fasulla? Semplice, con nuovi e più efficaci referendum sulle questioni irrisolte della giustizia. Da far partire in autunno per dimostrare che il Paese e la sua opinione pubblica non abboccano alle incompiute di Matteo Renzi.
Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 23:29