Renzi e Prandelli:   riformismo fasullo

I primi cento giorni del giovane Premier a Palazzo Chigi sono stati segnati dallo stesso entusiasmo popolare suscitato dalla prima partita della Nazionale di calcio nel Mondiale in Brasile, quella della vittoria per 2 a 1 contro l’Inghilterra. Matteo Renzi come Cesare Prandelli: il primo che aveva cambiato radicalmente la politica italiana e reinventato il riformismo; il secondo che aveva estirpato la mala pianta del difensivismo e del contropiede all’italiana ed aveva reinventato un nuovo modo di fare calcio, ispirandosi al modello del vecchio Barcellona di Guardiola.

Il rischio che i prossimi mille giorni di Renzi a Palazzo Chigi seguano l’andamento discendente dell’avventura brasiliana della Nazionale e di Prandelli non è una ipotesi tirata per i capelli per legare due avvenimenti che non hanno nulla in comune, ma è una possibilità drammaticamente concreta. Perché, anche se mettere insieme Governo e Nazionale è come unire pere e mele, Renzi e Prandelli, a parte l’amicizia, sono legati da un’identica caratteristica. Quella di realizzare riforme che essendo rivolte solo all’apparenza risultano essere totalmente fasulle.

Insomma, entrambi badano solo alla forma, che deve essere accattivante e soprattutto politicamente corretta, e si disinteressano totalmente della sostanza. Così Prandelli scimmiotta Guardiola e riforma il calcio italiano, dimenticando che per vincere le partite non basta giocare a centrocampo ma bisogna anche tirare in porta. E Renzi scimmiotta Blair e pretende di riformare il sistema politico italiano con misure che rischiano di produrre risultati decisamente peggiori delle degenerazioni da modificare ed innovare.

L’altra analogia che unisce i due è che entrambi hanno avuto e continuano ad avere nei loro errori il sostegno dei rispettivi presidenti. Quello di Abete a Prandelli ha portato al fallimento delle ultime due edizioni dei Mondiali di calcio. Quello di Napolitano a Renzi sta producendo delle aberrazioni, come il Senato declassato a bouvette di sindaci e consiglieri regionali che gridano vendetta al cospetto delle ossa dei Padri Costituenti o come la pretesa del Quirinale di svolgere funzioni di Esecutivo riscrivendo da capo i decreti del Governo e firmando gli atti da se stesso realizzati.

Così come quello di Prandelli nel calcio della Nazionale non è stato riforma ed innovazione, quello di Renzi nella vita politica italiana rischia di essere un cambiamento solo in peggio. Come la pretesa di mandare alla Commissione Esteri della Ue una giovane ed inesperta Federica Mogherini in nome della diversità di genere ( tanto valeva mandarci Sofia Loren o Monica Bellucci). O come l’idea di inglobare l’Agenzia per i contratti della Pubblica amministrazione nell’Autorità contro la Corruzione, trasformando di fatto tutti gli operatori privati che lavorano con il settore pubblico in una categoria segnata dalla presunzione di colpevolezza.

In questa luce, la pretesa di Renzi di andare avanti per mille giorni a colpi di riforme sbagliate ed innovazioni fasulle rischia di produrre lo stesso risultato ottenuto dai vertici, ora dimissionari, del mondo calcistico italiano. Nessuno, ovviamente, si augura una conclusione del genere. Perché in palio, nella politica come nel calcio, non ci sono solo le sorti dei singoli ma quelle del Paese. Mettere in guardia da un rischio del genere, però, è assolutamente doveroso. Così com’è doveroso che le forze della maggioranza e quelle dell’opposizione responsabile si pongano rapidamente il problema di dare più sostanza alla semplice apparenza. Magari approfittando del fatto che l’uscita di scena della Nazionale dal Mondiale brasiliano rende ora l’opinione pubblica italiana più attenta a quanto avviene nel Palazzo del potere.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 23:27