
Nessuno nutre un solo dubbio sulla necessità di eliminare il Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro, un reperto archeologico risalente al corporativismo della prima metà del secolo scorso e che in tutta la sua lunga esistenza istituzionale non ha prodotto niente altro che costi inutili. Allo stesso tempo sembra che siano rimasti ben pochi a difendere il bicameralismo perfetto ed a sostenere l’intangibilità del Senato all’insegna della difesa ad oltranza della “Costituzione più bella del mondo”.
Ora anche i più strenui sostenitori della Carta del ‘48 sembrano essersi convinti della necessità di snellire il processo di formazione delle leggi e di ridurre i cosiddetti costi della politica smantellando la seconda Camera di Palazzo Madama e sostituendola con una struttura molto più snella che avrà il compito di rappresentare le sole autonomie locali. In realtà, il timore che le austere statue dei grandi senatori dello stato unitario poste nell’edificio di corso Rinascimento possano essere circondate dai Fiorito di turno è forte anche nei fautori della riforma. Ma Matteo Renzi preme per avere comunque una riforma innovativa da presentare all’opinione pubblica. Ed è facile preventivare che sarà accontentato. Insomma il cantiere riformatore, dove c’è anche la modifica del Titolo V, è in piena attività. E tutti sono contenti nel pensare che tra non molto il vecchio Senato e l’inutile Cnel non ci saranno più.
Ma basterà questo per chiudere con soddisfazione il cantiere riformatore istituzionale? I Padri Costituenti avevano messo in piedi una struttura costituzionale che poggiava su quattro pilastri. Quello della Camera dei deputati, quello del Senato, quello del Cnel e quello del Consiglio Superiore della Magistratura. I primi due dovevano svolgere la funzione legislativa, il terzo doveva contribuire a determinarla garantendo il contributo di imprenditori e sindacati mentre il quarto doveva assicurare che i risultati del processo legislativo, cioè le leggi, venissero applicati assicurando l’indipendenza e l’autonomia dei giudici, svolgendo così il ruolo di organo di autocontrollo della magistratura. Fino ad ora il cantiere riformatore ha preso in considerazione solo la revisione della funzionalità e dell’utilità dei primi tre pilasti. Ma del quarto nessuno ne parla.
Come se il pilastro che dovrebbe assicurare l’indipendenza e l’autonomia di chi deve fare rispettare le leggi fosse rimasto immune dalla naturale usura del tempo e non avesse bisogno di essere sottoposto ad una seria ed opportuna revisione. Il bicameralismo perfetto costa troppo e rende farraginosa e lunghissima la fase legislativa? Giustamente viene cambiato. La terza camera corporativa serve solo a buttare i soldi dello Stato? Ovviamente si elimina. Arrivato al Consiglio Superiore della Magistratura, però, il ragionamento si blocca. Il Csm avrebbe dovuto garantire l’assenza di condizionamento politico sui giudici. C’è riuscito? L’esperienza, anche quella recentissima, dimostra che non solo non ha svolto il suo compito ma che l’organismo che avrebbe dovuto preservare i tribunali da qualsiasi influenza e pressione da parte del potere politico si è trasformato esso stesso nello strumento primario della politicizzazione della magistratura. Che si aspetta, allora, a smantellare il Csm come si smantella il Senato, a cancellarlo come si cancella il Cnel o, almeno, a riformarlo come si vuole riformare la Camera? Su questo fronte tutto tace.
Lo stesso Renzi, che pure dice a parole di voler fare una riforma al mese, ha accuratamente evitato di affrontare l’argomento. Senza capire, però, che la riforma del Csm e della giustizia è la vera cartina di tornasole dell’impegno “riformare”. E senza comprendere che se l’immunità negata agli altri vale solo per il Csm, il progetto di riforma diventa una buffonata!
Aggiornato il 09 aprile 2017 alle ore 16:32