Renzi, l’Unione <br / > e il metodo Arafat

Yasser Arafat parlava in inglese con i giornalisti e le televisioni occidentali. E mostrava il volto conciliante e disponibile a qualsiasi confronto per contribuire alla pace in Medio Oriente. Subito dopo parlava in arabo con i giornalisti e le emittenti televisive palestinesi e del mondo arabo. Ed esibiva il volto del guerriero instancabile ed intransigente che avrebbe continuato a combattere fino alla riconquista dei territori occupati ed alla cacciata dell’occupante israeliano.

Il sistema Arafat pare aver conquistato Matteo Renzi. Che quando parla dell’Europa in Italia mostra la faccia combattiva di chi chiede l’allentamento del patto di stabilità per farla finita con l’austerità che genera recessione e favorire la ripresa a colpi di investimenti da parte dello Stato. Ma quando parla dell’Italia in Europa non perde occasione per assicurare i suoi interlocutori che il nostro Paese, pur segnato negativamente dall’austerità, non chiederà mai alcun tipo di deroga al patto di stabilità e si atterrà senza batter ciglio alle indicazioni che vengono dai vertici dell’Unione Europea e dalla Cancelleria di Berlino.

Se fosse effettivamente, come dice di essere, con la schiena dritta, la stampa italiana non potrebbe non raccontare, magari senza alcuna punta polemica e con la volontà di edulcorare il fenomeno della doppia faccia del nostro Presidente del Consiglio. Al contrario, a conferma che invece di avere la schiena dritta è afflitta da scoliosi da genuflessione continua, la stampa italiana si guarda bene dall’illustrare questa bizzarra verità. E tenta disperatamente di far passare presso l’opinione pubblica nazionale l’immagine di un Renzi che, grazie al voto europeo, è diventato l’ago della bilancia di tutti i possibili equilibri della Ue e si batte come un leone per imporre alla Merkel l’abbandono della linea dell’austerità per i Paesi mediterranei e l’accettazione silenziosa e passiva dell’allentamento del patto di stabilità.

Chiunque abbia fatto tesoro dell’esperienza dell’estate-autunno del 2011 si rende perfettamente conto che il povero Renzi non ha alcuna possibilità di sfidare Berlino ed i banchieri di Francoforte. Se mai tentasse di farlo potrebbe correre il rischio di ritrovarsi da un giorno all’altro con lo spread alle stelle e con un tecnico benedetto dalla Ue e dal Quirinale che bussa alla porta di Palazzo Chigi per entrare ed occupare la sua poltrona di Premier. Ma comprendere il dramma dell’attuale Premier, che per non fare la fine di Silvio Berlusconi si inginocchia in Europa davanti alla Cancelliera di bronzo, non comporta automaticamente negare o addirittura nascondere la verità.

Purtroppo una stampa formata da dritti con la schiena piegata non solo nega l’evidenza, ma arriva addirittura a nascondere la realtà dei fatti. La Merkel non perde occasione per ribadire che il patto di stabilità non si tocca? I media italiani non ne fanno parola. E, anzi, insistono nel raccontare la favola che nel prossimo semestre di Presidenza italiana il nostro Presidente del Consiglio imporrà alla Cancelliera ed ai banchieri tedeschi la linea della ripresa al posto di quella dell’austerità, sfondando a proprio piacimento il limite del 3 per cento.

È indubbio che nei tempi brevi il metodo Arafat sostenuto dalla stragrande maggioranza dei media italiani convinca l’opinione pubblica del Paese di poter contare su un Renzi miracolistico ed onnipotente. Ma alla lunga il gioco non può durare. Perché nel frattempo la ripresa non parte, l’austerità continua a produrre frutti avvelenati, la disoccupazione cresce, le aziende chiudono ed il debito pubblico raggiunge cifre da record. Il risveglio dopo l’allucinazione può essere traumatico. Renzi farebbe bene a tenerlo bene in conto!

Aggiornato il 09 aprile 2017 alle ore 16:30