Trionfo della scienza,   mostro in “prima”

Il caso Yara è un caso di scuola. Ma non solo perché per arrivare alla identificazione del presunto assassino della povera ragazza gli inquirenti hanno raccolto il Dna di migliaia e migliaia di persone e messo a setaccio non un solo Paese, ma buona parte della provincia di Brescia. A questa ragione, che esalta il ruolo della scienza e della tecnologia nelle investigazioni, se ne aggiunge anche una seconda. Meno positiva e poco commendevole, ma che ha la stessa importanza della definizione del primato della scienza nello svolgimento delle indagini. Si tratta dall’inarrestabile ruolo della comunicazione e dell’informazione nell’ambito giudiziario.

Anche in questa occasione il “mostro” è stato sbattuto in prima pagina. Ed il modo con cui il ruolo dell’informazione ha di fatto piegato e cancellato ogni diritto di difesa dell’accusato e la sua presunzione d’innocenza sancita dalla Costituzione è stato talmente forte e violento da far sobbalzare e protestare gli stessi magistrati che indagano sulla drammatica vicenda.

Le due ragioni, nel caso della inchiesta sulla morte di Yara, si alimentano a vicenda. La particolarità data dalla raccolta di massa del Dna e dal cosiddetto primato assoluto assunto dalla scienza nello sviluppo delle indagini ha sicuramente esaltato il ruolo della comunicazione e dell’informazione nel momento in cui il presunto responsabile di un assassinio così efferato è stato identificato. Il “mostro in prima pagina” è stato “sbattuto” dall’enorme impatto emotivo che la singolarità della storia ha avuto per quattro anni di seguito sull’opinione pubblica del Paese. E, probabilmente, non poteva avvenire altrimenti.

Ma questa considerazione non può cancellare del tutto l’eco delle parole responsabili dei Pubblici ministeri, che avrebbero preferito un maggiore riserbo. Non può far dimenticare il silenzio esemplare mantenuto dai genitori di Yara. E non deve far cadere nell’indifferenza la circostanza che non l’esito di un processo ma solo la svolta (si spera positiva) delle indagini ha intanto prodotto la carcerazione di un uomo e lo stravolgimento distruttivo delle vite di tutti i suoi familiari. Dalla moglie ai figli, fino alla madre, accusata di aver nascosto al proprio marito di aver avuto due figli con un altro uomo, fino al padre, che solo in tarda età ha dovuto scoprire di aver cresciuto figli non suoi.

Il caso di Yara, in sostanza, se da un lato dimostra come il ricorso alla scienza ed alla tecnologia diventi sempre più decisivo nelle indagini giudiziarie, dall’altro pone ancora una volta con forza l’interrogativo se il diritto all’informazione della pubblica opinione possa e debba schiacciare in maniera così irreparabile i diritti e le garanzie dei singoli cittadini. Non solo del presunto colpevole, ma di tutti coloro che gli vivono accanto. Si poteva fare altrimenti? Si potrà fare altrimenti? È possibile evitare che la pialla di un’informazione troppo spesso condizionata da esigenze commerciali o da esibizionismi personali possa far saltare come i trucioli i diritti e le garanzie individuali?

Può sembrare assurdo che questo interrogativo venga posto all’indomani di un indiscusso successo ottenuto da inquirenti particolarmente scrupolosi e determinati. Ma sono proprio questi inquirenti ad aver ricordato la necessità di non calpestare i diritti individuali sanciti dalla Costituzione. Per restare non solo sul terreno della legalità voluto dalle leggi, ma anche quello della civiltà di un Paese che da più di duemila anni si è dato regole per evitare la giustizia sommaria e disumana.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 23:25