Forza Italia e la lezione Ncd

I conti sono presto fatti. Il Nuovo Centrodestra di Angelino Alfano pensava di superare alle elezioni europee almeno il sei per cento. Qualcuno, fuorviato da sondaggi taroccati, sognava addirittura l’otto per cento. Invece il risultato del voto è stato impietoso. Ncd ha raggiunto il 4,3 ma solo grazie al contributo determinante dell’Udc di Pierferdinando Casini e, in misura molto più ristretta, dei Popolari di Mario Mauro. In sintesi, quindi, considerando che l’Udc ha uno zoccolo duro di almeno l’uno e mezzo di elettori, si può concludere che il peso reale degli alfaniani non superi il tre per cento.

Questa cifra giustifica l’affermazione di Silvio Berlusconi secondo cui il processo di riaggregazione del centrodestra non può avvenire subito e “con tutti”. Un tre per cento per un partito che politicamente appare come un cespuglio defogliato del Partito democratico di Matteo Renzi, vale ben poco nella borsa della politica. Di sicuro non il ruolo di interlocutore credibile di chiunque abbia in animo di recuperare l’unità e la compattezza del centrodestra per contrapporsi al renzismo rampante e dare vita ad un bipolarismo maturo. Ma una considerazione del genere non vale solo per i dirigenti del Nuovo Centrodestra, che debbono ora affrettarsi a riflettere attentamente sull’errore commesso nel rompere l’unità di un’area che solo se rimane compatta può essere un’alternativa credibile alla sinistra. Vale anche e soprattutto per i dirigenti di Forza Italia che, pur avendo subito una sconfitta elettorale a causa dell’astensione di un elettorato sfiduciato dalla pochezza della vecchia classe dirigente moderata, rappresentano comunque il maggiore partito del centrodestra e hanno il compito di guidare la fase della ricomposizione.

L’esperienza del Ncd, infatti, fornisce alcune indicazioni preziose. La prima, come ha insegnato anche l’esperienza della precedente scissione provocata da Gianfranco Fini, è che le manovre di Palazzo e le rotture dei gruppi dirigenti non trovano mai una qualche corrispondenza nell’elettorato. Anzi, sono proprio queste operazioni che sfiduciano gli elettori e li spingono, come nel caso di quelli del centrodestra, a rifugiarsi nell’astensione. La seconda è che un partito in cui confluiscono solo quelli capaci di raccogliere le preferenze per se stessi è destinato a sclerotizzarsi ed a perdere progressivamente qualsiasi capacità di attrazione nei confronti del grande elettorato ormai abituato al libero voto d’opinione.

Il Nuovo Centrodestra, nato come il partito dei ministri e dei notabili locali abituati dalla tradizione democristiana a curare le preferenze per se stessi, si è rivelato totalmente incapace di intercettare il voto d’opinione dei moderati italiani. I suoi massimi dirigenti potranno continuare a fare i ministri ed i parlamentari fino a quando andranno avanti il Governo Renzi e l’attuale legislatura. Ma non hanno alcun tipo di futuro. Questo, ovviamente, non significa che i dirigenti di Forza Italia non debbano preoccuparsi di rimettere in piedi un partito radicato sul territorio anche attraverso la cura dei collegi e del mantenimento delle preferenze personali. Ma debbono sapere che il partito dei notabili non può essere in alcun caso il motore della ricostruzione dell’unità del centrodestra e dell’alternativa alla sinistra.

La ricomposizione dell’area può essere guidata solo da chi ha più idee innovative e la credibilità e la capacità di portarle avanti. Il ché non esclude che qualche notabile abbia idee, credibilità e capacità oltre che preferenze. Ma per ricomporre e guidare bisogna avere una dote ulteriore, quella di saper giocare in squadra!

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 23:29