
Non si può dare torto al vicepresidente del Consiglio Superiore della Magistratura, Michele Vietti, quando sostiene che “di tutto ha bisogno il sistema giudiziario tranne che di delegittimazione”. Ma la sua considerazione, che vale quando la delegittimazione arriva dall’esterno del sistema, regge ancora quando la stessa delegittimazione proviene dall’interno del sistema stesso?
L’interrogativo sorge spontaneo di fronte agli scontri in atto nella Procura di Milano, quelli che non vedono solo il reciproco scambio di accuse di mendacio tra il Procuratore capo Edmondo Bruti Liberati ed il sostituto Alfredo Robledo, ma anche le prese di posizione del Procuratore generale Minale e del procuratore Pomarici sulla presunta tendenza dello stesso Bruti Liberati ad affidare casi scottanti ad Ilda Boccassini, forzando la prassi in atto nel proprio ufficio.
La risposta che Vietti sembra intenzionato a dare alla domanda è di trattare la delegittimazione che proviene dall’interno evitando l’enfasi difensiva con cui si combatte di regola quella proveniente dall’esterno e cercando di accelerare al massimo l’indagine che il Csm ha dovuto avviare sulla base degli esposti provenienti dalla Procura milanese. Insomma, la linea scelta di Vietti sembra essere quella del Conte zio dei “Promessi Sposi”. Quella del “sopire e troncare, troncare e sopire”, da realizzare attraverso una rapidissima conclusione del lavoro del Csm segnata, ovviamente, dall’esigenza di mettere tutto a tacere per porre fine alla delegittimazione del sistema giudiziario proveniente dall’interno del sistema stesso. Sulla medesima linea sembra indirizzato anche il ministro della Giustizia, Andrea Orlando, da poco insediato sulla scottante poltrona di via Arenula e per nulla intenzionato a bruciarsi a causa di un qualche eccesso di zelo in una vicenda da prendere comunque con le molle. Il problema, però, è che lo scontro interno da cui dipende l’auto-delegittimazione non si verifica in una Procura qualsiasi ma in quella che, oltre ad essere impegnata in un’inchiesta riguardante l’Expo 2015, cioè l’opera su cui il Paese punta per il rilancio della propria immagine e della propria economia, è anche la Procura diventata per vent’anni di fila il simbolo vivente della Magistratura investita dal compito di combattere i vizi nazionali ed imporre con la legge la virtù perduta o mai esistita.
Insomma, “sopire e troncare, troncare e sopire” è una linea che può andare bene per qualsiasi altra Procura o distretto giudiziario. Ma non può essere in alcun caso la sola risposta alla crisi in atto nel simbolo di Mani Pulite, della rivoluzione giudiziaria, dell’“Italia da rivoltare come un calzino”. Perché ad entrare in crisi a Milano non sono solo i rapporti personali tra i magistrati o le loro ambizioni legate all’ormai imminente rinnovo del Csm. Ma è soprattutto il modello di una magistratura chirurgica, ultima e sola speranza di poter far guarire la società italiana dai cancri che l’hanno invasa e che minacciano di ucciderla. Il dramma, però, è che il simbolo della magistratura salvifica, costretta a farsi carico di compiti che in uno stato di diritto spetterebbero ad altri poteri, si appanna e rischia di sgretolarsi proprio nel momento in cui dovrebbe partire lo sforzo finale per quell’Expo a cui è stato affidato il compito di salvare l’economia nazionale.
Questa concomitanza può essere gestita con il “sopire e troncare, troncare e sopire”? L’interrogativo va girato non solo a Vietti e ad Orlando, ma direttamente a Matteo Renzi!
Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 23:26