Fatti, non parole e Riforme vere

Non sono un grande estimatore di Alan Friedman, giornalista economico col pallino dei complotti. Tuttavia mi trovo sostanzialmente d’accordo su una sua recente dichiarazione televisiva in merito alle prospettive finanziarie del Governo Renzi. In breve, Friedman sostiene che la relativa calma dei mercati, che ha riportato lo spread sui titoli di Stato italiani al livello del maggio 2011, non può durare molto. In assenza di riforme vere, egli valuta che alla fine della prossima estate possa riprendere la fuga dal nostro colossale debito sovrano, con tutte le evidenti conseguenze del caso.

Ora, quando si parla di riforme vere, data la grave situazione di squilibrio che caratterizza il Paese, non si può prescindere da tutte quelle misure strutturali in grado di alleggerire i due principali vincoli che soffocano ogni forma di ripresa e di sviluppo: eccesso di tassazione e di burocrazia. Si tratterebbe quindi non di realizzare le solite partite di giro fiscali, le quali stanno finora caratterizzando anche il Governo dei rottamatori (basti pensare al bonus di 80 euro finanziato con maggiori imposte sulla casa e sui risparmi), ma di mettere in campo coraggiosi interventi a regime, con alla base una decisa riduzione del perimetro pubblico, con l’obiettivo di sostenere l’economia riducendone i costi. Questo ridarebbe una solida prospettiva all’Italia, rassicurando i succitati mercati circa la solvibilità di un indebitamento che sta galoppando verso il 140% del Prodotto interno lordo.

Destra, sinistra o antipolitica che sia, chiunque voglia far veramente cambiare verso ad un sistema giunto quasi al collasso dovrà per forza confrontarsi con una tale problematica. In altri termini, ciò significa la fine di una linea politica la quale, rincorrendo ogni bisogno e ogni richiesta di spesa, ci condanna ad un deficit perenne, aumentando mese dopo mese i rischi di un’esplosione del debito pubblico, come giustamente ha sottolineato Alan Friedman. Una linea da rottamare espressa in modo esemplare dal democratico Cesare Damiano, ministro del Lavoro durante il secondo Esecutivo Prodi, nel corso del talk mattutino Coffee Break. “Io appartengo alla vecchia politica e quando quest’ultima decide veramente le risorse per le sue scelte si trovano sempre”, ha dichiarato costui in merito al tormentone dei cosiddetti esodati. E su questo piano l’attuale Premier non potrà traccheggiare a lungo: o si mette di traverso rispetto alla spinta che il suo partito e la relativa base di consenso continuano a esercitare sul piano dell’intervento pubblico, diventando non solo a chiacchiere il Tony Blair italiano, o si accoda alla tradizionale coltura politica del Partito Democratico, chiaramente espressa dai tanti Damiano in circolazione.

Se così fosse, e purtroppo molte cose ci portano a pensarlo, quel che dopo l’estate potrebbe accadere sui mercati sarebbe tale da farci rimpiangere il tanto bistrattato puzzone. D’altro canto, parafrasando una vecchia pubblicità televisiva, per convincere gli investitori a continuare ad aver fiducia su una montagna di debiti occorrono fatti, non parole.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 23:23