La Procura di Milano e il Csm dei veleni

Una volta la Procura dei veleni era quella di Palermo. Adesso è diventata quella di Milano. Con una novità fin troppo significativa. A Palermo i veleni venivano fatti girare nel Palazzo sotto forma di lettere anonime scritte da un “Corvo” mai identificato. A Milano i veleni girano e fuoriescono dal Palazzo attraverso denunce presentate al Consiglio Superiore della Magistratura da magistrati impegnati in scontri e lotte personali che a loro volta determinano indagini da parte dello stesso Csm da cui derivano ulteriori denunce ed inquietanti rivelazioni.

La differenza dai veleni palermitani a quelli milanesi, in sostanza, è che quelli erano di fonte segreta destinata a rimanere tale, mentre questi sono firmati con nome e cognome da magistrati fin troppo noti e hanno come sbocco l’organo di autogoverno della magistratura che ha il compito di dirimere le controversie ed emettere un giudizio. Il salto di qualità segnato dal passaggio dai veleni nascosti a quelli sbandierati è fin troppo evidente. Ma non si tratta di un’evoluzione positiva. Perché l’innovazione della trasparenza causata dalla fine delle lettere anonime e all’avvio delle denunce pubbliche è abbondantemente neutralizzata dalla crescita di un discredito generalizzato nell’opinione pubblica nei confronti non di una Procura qualsiasi ma di quella Procura che, da vent’anni a questa parte, rappresenta il modello ineguagliabile per tutti i magistrati italiani (ed anche stranieri), convinti che il loro compito non sia di applicare la legge ma di rivoltare il Paese come un calzino.

Ora è impossibile per chi non abbia valutato i documenti all’esame del Csm entrare nel merito dei veleni della Procura milanese. E nessuno, fino alla conclusione dell’indagine del Palazzo dei Marescialli, può stabilire se abbia ragione Edmondo Bruti Liberati o Alfredo Robledo o se sia fondata l’accusa del procuratore Manlio Minale ad Ilda Boccassini di aver indagato su Silvio Berlusconi senza averne la titolarità. Ma fin da adesso non si può fare a meno di esprimere due considerazioni generali in merito a questa incredibile vicenda. La prima è che il sospetto del “trattamento speciale” riservato a Berlusconi nella Procura dei veleni pubblici ha trovato una conferma difficilmente contestabile. Nessuno sa quale conseguenza processuale potrà avere questo ritrovamento della “pistola fumante” della persecuzione giudiziaria ai danni del Cavaliere. Ma l’opinione pubblica ora sa, al di là di ogni ragionevole dubbio, che la persecuzione c’è stata e con essa la distorsione della vita democratica del Paese.

La seconda considerazione riguarda invece la prevedibile conclusione formale della vicenda. Come si comporterà il Csm? Quale giudizio potrà emettere e quali sanzioni potrà comminare agli eventuali responsabili di atti che hanno prodotto un discredito così pesante nei confronti non solo della Procura-guida degli uffici giudiziari italiani ma dell’intera magistratura? Sulla base dell’esperienza del passato è facile rispondere che, a parte qualche generica riprovazione, tutto si risolverà in un nulla di fatto. A tanto discredito non corrisponderà alcuna sanzione. E non per cattiva volontà o per particolare protervia da parte dei componenti del Csm, ma perché l’organo di autocontrollo della magistratura può controllare ma ha dimostrato nel tempo di non saper giudicare i componenti della propria categoria.

A due mesi dalla scadenza dell’attuale Consiglio Superiore della Magistratura sarebbe bene cogliere l’occasione per inserire nel novero delle riforme indispensabili anche quella del Csm. Perché, essendo frutto delle alchimie delle correnti che dividono la magistratura, non solo non è in grado di controllare efficacemente chi deve garantire l’applicazione della legge, ma è diventato nel tempo il “padre di tutti i veleni” che gravano sulla giustizia italiana.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 23:25