Perestrojka e alte retribuzioni di Stato

Come ho già avuto modo di scrivere, il renzismo dilagante sta alimentando un fuoco di artificio di illusioni che, una volta sperimentate concretamente, in prospettiva non possono che riportare acqua al mulino della cosiddetta antipolitica. Tra queste vi è l’idea peregrina secondo cui, sempre nell’ottica di riattaccare il coccio rotto di uno Stato fallimentare, occorrerebbe introdurre rigide limitazioni nelle retribuzioni dei manager pubblici ed eventualmente legare queste ultime ai chimerici criteri del merito.

Ora, a prescindere dal fatto che già dai tempi della famigerata Prima Repubblica ci si proponevano analoghe finalità etico-efficientistiche nella pubblica amministrazione, senza che poi qualcuno riuscisse a spostare una virgola all’interno dello Stato leviatano, porre un freno ai privilegi dei mandarini pubblici e selezionarli per merito equivale al tentativo di svuotare il Mediterraneo con un secchiello. Ciò per il semplice fatto che le dinamiche retributive e le relative carriere, come per tanti altri aspetti che caratterizzano l’attuale regime politico-burocratico, rappresentano il portato di un colossale problema sistemico stratificatosi nei decenni e che, per questo motivo, non si affronta con le chiacchiere e la propaganda delle buone intenzioni.

Sul piano generale, per rendere più umano uno Stato che fagocita il 55% del reddito nazionale, consentendo quindi che al suo interno si annidi ogni forma di parassitismo, l’unica strada ragionevole è quella di renderlo più leggero. Ma renderlo più leggero non significa puntare, al pari delle illusioni renziane, verso il paradigma del “Governo migliore”, lasciando inalterato l’enorme perimetro delle competenze su cui ricade la mannaia dello stesso sistema politico-burocratico. Occorre invece andare nella direzione del “Governo minimo”, ossia cominciando ad eliminare di sana pianta molte delle medesime competenze, lasciando più spazio alle capacità spontanee dei cittadini privati. Tutto questo, tradotto in concreto, significa che più che limitare i privilegi economici dei suddetti manager pubblici – i quali fatta la legge, come accade un po’ ovunque, troveranno molto presto l’inganno per rimpinguare i loro principeschi emolumenti tagliati – bisognerebbe iniziare una difficile e complicata opera di privatizzazione e liberalizzazione di parecchie delle aziende pubbliche o para-pubbliche, lasciando che sia il mercato concorrenziale a decidere le retribuzioni dei manager medesimi.

Al di fuori di ciò vi è solo, per l’appunto, l’illusione di una rinnovata Perestrojka renziana che, conoscendo i miei polli, non può che dare l’idea di cambiare tutto per non cambiare nulla.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 23:23