
Il problema non è l’esiguità o meno della somma di dieci miliardi da destinare alla riduzione dell’Irpef o dell’Irap. E non è neppure la scelta se destinare la maggior parte di questa somma alle imprese o ai lavoratori. Il problema è la scelta di fondo che viene compiuta nel decidere di indirizzare le poche risorse disponibili alla riduzione delle tasse delle imprese e dei lavoratori. Una scelta che non tiene in minimo conto il dato più negativo e drammatico della crisi economica che attanaglia ormai da troppi anni il Paese. Cioè il dato di una disoccupazione in continua ascesa.
La scelta del Governo, pressato da forze sociali sempre più chiuse nel loro corporativismo cieco, è di puntare ad alleviare il peso di una tassazione esagerata dalle spalle del mondo dell’occupazione formato da imprese e lavoratori. È una scelta che è già stata compiuta in passato dal Governo Prodi e, più recentemente, dal Governo Letta. E che non ha prodotto alcun risultato visto che i dieci miliardi da ripartire tra le diverse componenti del mondo dell’occupazione sono destinati a tradursi in briciole nelle tasche dei dipendenti ed in aiuti inconsistenti per aziende che avrebbero bisogno di sostegni di tutt’altro genere.
Basterebbero gli esempi del passato per dimostrare l’inutilità di una scelta del genere. Ma questa scelta non è soltanto inutile. È anche totalmente sbagliata. Perché la ripresa non si può realizzare se non si aggredisce in maniera determinata ed esclusiva il dramma della disoccupazione. Quel dramma che sta trasformando la società italiana in due società distinte e separate. Da una parte quella dell’occupazione, che comunque riesce a sopravvivere. Dall’altra quella della disoccupazione, dove le condizioni di vita diventano sempre più difficili mano a mano che gli ammortizzatori sociali dello Stato e delle famiglie diventano sempre più deboli ed inefficaci.
È normale che Confindustria e sindacati tutelino i loro interessi che si concentrano solo ed esclusivamente nel mondo dell’occupazione, quella pubblica per le grandi confederazioni sindacali e quella privata per la Confindustria. Ed è forse anche normale che il segretario del Pd divenuto Presidente del Consiglio segua il riflesso pavloviano della propria area politica preoccupandosi solo di accontentare (si fa per dire, visto che alla fine gli interessati saranno comunque scontenti) le cosiddette forze sociali. Ma dall’uomo nuovo che avrebbe dovuto procedere ad un’innovazione forzata di una classe politica sclerotizzata ci si sarebbe aspettato una scelta meno tradizionale, meno conformista, meno banale. Una scelta diretta ad aggredire il fenomeno della disoccupazione. Non con il semplice rifinanziamento o con la riforma degli ammortizzatori sociali, ma con la destinazione di ogni tipo di risorsa disponibile nella grande battaglia per la creazione di nuovi posti di lavoro.
Perché gli ammortizzatori sociali non possono durare all’infinito. Presto o tardi finiscono facendo cadere i lavoratori nel girone dei dannati. I posti di lavoro, invece, possono durare molto più a lungo. Sempre a condizione che i Governi creino le condizioni per farli sopravvivere e non per farli morire a beneficio di interessi superiori o, più semplicemente, più forti. È difficile prevedere un qualche ripensamento di Renzi su questo tema. La grande promessa, purtroppo, si dimostra ogni giorno di più la grande disillusione!
Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 23:29