
Molti dirigenti del Partito Democratico guardano con grande soddisfazione al processo di sfaldamento in atto nei gruppi parlamentari del Movimento Cinque Stelle. Sperano, nei tempi brevi, di poter ottenere ciò che inutilmente aveva cercato di conseguire Pierluigi Bersani con il suo “scouting” nei confronti dei grillini. Cioè l’appoggio esterno al Governo a guida Pd da parte di un gruppo destinato a bilanciare gli eccessi di condizionamento determinati all’interno della maggioranza dal Nuovo Centrodestra e dagli spezzoni di Scelta Civica. E contano, nei tempi più lunghi, di far riassorbire al Pd gran parte dell’elettorato di sinistra conquistato alle ultime elezioni dalle sirene ribellistiche di Beppe Grillo.
Il doppio calcolo può rivelarsi giusto solo per quanto riguarda il primo punto. È indubbio che i fuoriusciti da Cinque Stelle siano destinati a diventare una costola parlamentare del Partito Democratico e ad essere utilizzati come utili contrappesi degli alfaniani e dei montiani sempre più divisi e dispersi. Ma l’idea che lo smottamento in atto tra i grillini si possa tradurre in un recupero elettorale da parte del Pd è del tutto campata in aria. Non solo perché gli scissionisti del Movimento Cinque Stelle valgono da un punto di vista elettorale meno di zero. Ma soprattutto perché, se è vero che il fermento in atto tra i grillini riguarda essenzialmente la fetta del loro elettorato che proviene dalla sinistra, è facile prevedere che lo sbocco della rivolta contro Grillo non sia il Pd ma l’area delle formazioni più estremiste della sinistra stessa.
La riprova di una previsione del genere è fin troppo vicina. Le elezioni europee sono alle porte. E se è vero che queste elezioni potrebbero provocare un forte ridimensionamento del Movimento Cinque Stelle, è ancora più vero che con ogni probabilità a beneficiare del ridimensionamento non sarà il Partito Democratico, ma quella Lista Tsipras sostenuta dal partito di Nichi Vendola ed a cui hanno dato la loro adesione una gran parte degli intellettuali di sinistra che non si riconoscono nel riformismo dei democrat e che aborrono la novità renziana considerata addirittura neo-berlusconiana. I primi sondaggi accreditano la lista dell’ultrasinistra, dove Barbara Spinelli convive con Ermanno Rea e Curzio Maltese con il no-global Luca Casarini, di oltre il 6 per cento. Che è il doppio di quanto conta al momento Sel e che è un numero considerato destinato addirittura a salire se le vecchie glorie del comunismo nostalgico, dell’azionismo viscerale e dell’estremismo più forsennato riusciranno a catturare una parte dei delusi da Grillo e Casaleggio.
Può essere che la Lista Tsipras non riesca nel proprio intento. E che i rivoluzionari da salotto siano costretti a ritornare scornati ai loro giornali, alle loro case editrici e alle loro forsennatezze. Ma per il Pd, il pericolo che alla propria sinistra si crei un nemico molto più forte e pericoloso della jacquerie grillina è decisamente alto. Tanto più che i miracoli assicurati da Matteo Renzi, che sarà pure un marziano ma che è sempre il segretario del Partito Democratico alla guida di un Governo per il novanta per cento formato da esponenti del Pd, non si sono ancora verificati. Ed è estremamente difficile che si possano mai realizzare durante i mesi che ancora mancano alle elezioni europee.
La protesta, in sostanza, può abbandonare Grillo e prendere altre strade. Quella degli ultimi giapponesi della rivoluzione comunista ma anche quella di chi, da posizioni esattamente opposte, offre un’alternativa moderata e credibile al Governo impantanato dalle promesse esagerate di Renzi e dalle contraddizioni interne del Pd.
Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 23:26