L’inquietante silenzio di Pier Carlo Padoan

Il neo presidente Matteo Renzi è un tipo sveglio. Sa che la velocità di reazione dovrà essere la sua arma letale per battere la crisi. Lui sa usare al meglio gli strumenti più avanzati della comunicazione. Per ogni cosa ci tira su un tweet. Bravo Renzi! Così si dà all’opinione pubblica la sensazione di avere un super primo ministro in grado di rispondere a tutti, in tempo reale. Ma proviamo a vedere se funziona.

Ci risponda, Renzi: perché a distanza di molte ore dal suo mirabolante intervento al Senato dove ha fatto balenare la possibilità di mettere in campo in pochi giorni provvedimenti shock, che a volerli cantierare tutti ci costerebbero non meno di cento miliardi di euro, il suo ministro dell’Economia non ha ancora emesso un fiato sull’argomento? Che Padoan sia un tipo timido? O che altro? Forse il neoministro è stato vittima degli effetti del jet lag per cui vuole essere sicuro di aver compreso bene il suo discorso prima di dire come stanno davvero le cose. Oppure Padoan tace perché vuole verificare quanta corda il Quirinale desideri concedere alla sua pirotecnica strategia prima di stringerle il cappio attorno al collo?

Scusi Renzi, mi tolga una curiosità: prima di nominarlo ministro gliel’hanno almeno presentato? L’hanno avvisata che l’illustre economista è stato il mentore italiano di Stefano Fassina? Se lo ricorda Fassina, quello di: “Fassina chi?”; quello che ieri l’altro le ha votato la fiducia con riserva. Mi rendo conto che la mia vorrebbe essere una greve ironia che non fa ridere nessuno. E di questo mi scuso. Però anche lei, caro Renzi, abbia la cortesia di non raccontarci balle. Con l’aria che tira non è il momento per le spacconate.

Certamente bisogna concederle che, dopo anni di presa stretta del Presidente della Repubblica sui Governi creati in laboratori lontani dalle urne, quello attuale appare più svincolato e meno dipendente dalle indicazioni di rotta del Quirinale. Tuttavia, la scelta che le è stata imposta di consegnare il dicastero chiave dell’Economia a un plenipotenziario delle istituzioni europee, lascia intendere che il passo delle riforme sarà condizionato dai nulla osta che le perverranno da via XX Settembre. Il neoministro Pier Carlo Padoan è diretta espressione degli organismi internazionali che più degli altri hanno voce nel determinare il futuro degli Stati a scarsa trazione produttiva o ad alto debito pubblico, come l’Italia. Dicono che veda di buon occhio “aggiustamenti salariali e tagli del cuneo fiscale, da compensare con cambiamenti della composizione delle imposte in direzione della tassazione sui consumi”. Lo sa questo? L’hanno informata di quanto Padoan possa essere coriaceo su questo punto?

Restiamo con i piedi piantati a terra. È presumibile che tutte le iniziative di stimolo alla crescita che il suo gabinetto vorrà adottare dovranno trovare copertura in un surplus di gettito fiscale, e non, come qualche illuso spera, nel taglio della spesa pubblica. Per essere ancora più chiari, non è che Padoan non valuti la necessità di un taglio consistente ai costi di gestione della macchina pubblica. Al contrario. Il fatto è che i risparmi che se ne riusciranno a ottenere, Padoan vorrà, e probabilmente dovrà per imposizione di Bruxelles, imputarli alla riduzione del debito pubblico. Non dimentichiamo che sull’Italia, dal prossimo anno, pende un macigno che si chiama Fiscal Compact. In base agli impegni assunti in sede europea il Governo italiano dovrà obbligatoriamente destinare una somma consistente, che oggi appare ancora difficile determinare con esattezza, alla diminuzione dello stock del debito. Tutto ciò comporta che, al di là dei proclami e dei roboanti discorsi ad uso propagandistico, anche lei, Renzi, dovrà adeguarsi all’idea di presiedere un Esecutivo a sovranità limitata. Anche per lei, come per i suoi predecessori, le “mani libere” sulle manovre di bilancio sono un’illusione ottica, un miraggio proiettato ad uso della parte più distratta d’opinione pubblica, com’è una chimera l’idea di andare presso le istituzioni europee a contrattare un’autorizzazione allo sforamento del tetto del 3% nel rapporto deficit-Pil.

Fuori dai toni retorici da comizietto di piazza usati per presentarsi alle Camere, lei è ben consapevole del percorso stretto che le si para innanzi e sa che la partita potrà essere giocata in Europa soltanto se, condensando una vasta area di consenso tra gli altri partner, si potranno battere le resistenze della Germania e dei Paesi del blocco settentrionale dell’Ue, allo scopo di ridefinire i parametri adottati nel 1993 per la valutazione del debito dei singoli Stati. Non è dunque un caso, presidente Renzi, se non abbia provveduto a proporre la nomina di un ministro da destinare agli Affari europei. È chiaro che intende tenere per sé la delicata responsabilità della gestione dei dossier aperti con Bruxelles e con gli altri partner intracomunitari. E questa è una comprensibile misura di prudenza.

Se, quindi, nel tentativo di attribuirsi margini di manovra per le proprie politiche di sviluppo e di ripresa dell’occupazione, lei dovesse entrare in rotta di collisione con le disposizioni delle autorità comunitarie di controllo, certamente tornerebbe in campo quel Napolitano che oggi, grazie a lei, sembra destinato a un ruolo meno centrale rispetto al passato. Comunque, un segnale che indicherà il concreto stato dei rapporti tra il Colle più alto e Palazzo Chigi sarà dato dal tipo e dal livello d’interdizione che il Quirinale frapporrà nel momento della ratifica dei provvedimenti varati dal suo Governo.

Non faccio il tifo per questa eventualità, ma temo che presto sentiremo la voce di Padoan e qualcosa mi dice che non ci piacerà. Intanto vedremo ritornare in azione, con ritrovato piglio decisionista, l’inquilino del Quirinale. Ma questa possibilità, mi creda, entusiasma ancor meno. Perciò, caro Renzi, stia sereno. Gli italiani non sono tanto stupidi come quel tale della storiella che per far dispetto alla moglie si tagliò gli attributi. Cosa intendo dire? Che non sarà da noi, dal popolo che traffica con i problemi del vivere quotidiano, che dovrà guardarsi le spalle. Si guardi, invece, da quegli ambienti della finanza e della grande industria che l’hanno voluta così repentinamente in sella e che fingono di essersi invaghiti del suo appeal e dei suoi discorsi di stampo dadaista. Non ci faccia eccessivo affidamento, hanno caratteri volubili i nostri poteri forti. È un consiglio.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 23:21