
La ricetta è pronta. Ed è di una semplicità disarmante. Da un lato un aumento delle rendite finanziarie che non tocca i Bot delle famiglie ma che è rivolto solo alla Borsa. E che dimostra alla severa Europa che l’Italia è decisa a fare sul serie per ridurre il proprio debito. Dall’altro l’operazione con la Cassa Depositi e Prestiti che dovrebbe consentire di mettere in circolo nella società assetata il flusso vitale di 60 miliardi di crediti delle aziende nei confronti dello Stato. E che, con un’accorta spiegazione del ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, dovrebbe assicurare la sempre severa Europa che l’intervento della Cassa Depositi e Prestiti non provoca un aumento del debito pubblico e non provoca lo sforamento del fatidico limite del 3 per cento ma va interpretata, in quanto mossa antirecessiva, come un’operazione rivolta sempre alla riduzione del rapporto tra Pil e debito pubblico.
Ma perché, se è così semplice, efficace ed attuabile, una manovra del genere non è stata realizzata in precedenza? La colpa, viene spiegato, è dei burocrati del ministero del Tesoro. Che si sono sempre opposti all’operazione sostenendo che dall’Europa non sarebbe mai venuto un via libera in quanto il ricorso ai soldi della Cassa Depositi e Prestiti sarebbe stato interpretato come una manovra all’italiana per aggirare senza pagare pegno il vincolo del 3 per cento del rapporto tra Pil e debito pubblico.
Nessuno sa bene se la posizione dei burocrati del Tesoro sia cambiata da quando venne espressa e fatta propria dall’allora ministro, Fabrizio Saccomanni. E nessuno, per la verità, sa bene se il nuovo ministro Padoan sia d’accordo con la mossa con cui il nuovo Presidente del Consiglio Matteo Renzi vorrebbe dare scacco matto alle rigidità di Bruxelles. L’unico dato certo è che la posizione dell’Europa non sembra affatto cambiata. Non a caso, proprio nei giorni scorsi il commissario Olli Rehn ha rilevato che i conti italiani sono sempre a rischio e che solo una sensibile riduzione del debito pubblico può raddrizzare la situazione. E sempre non a caso lo stesso Rehn, che in passato ha sollecitato l’Italia ad adottare la patrimoniale per ridurre il debito, ha sottolineato come Padoan, cioè il nuovo ministro dell’Economia da sempre favorevole alla patrimoniale, “sa cosa è necessario fare”.
La speranza, ovviamente, è che i burocrati del ministero non si mettano nuovamente di traverso. E, soprattutto, che Rehn e tutti i rigoristi di Bruxelles accettino la tesi secondo cui l’intervento per 60 miliardi della Cassa Depositi e Prestiti non costituisce uno sforamento del 3 per cento nel rapporto tra Pil e debito pubblico. L’auspicio, in sostanza, è che l’aggiramento delle rigidità europee con la mossa suggerita da Bassanini e fatta propria da Renzi possa avere successo. Perché un’iniezione di 60 miliardi non potrebbe non rivitalizzare un’economia e una società allo stremo. Ma che succede se Rehn ed i burocratici europei (quelli italiani non li calcoliamo neppure) si dovessero mettere di traverso e bloccare l’operazione rispolverano le solite lamentele contro le furbate all’italiana?
Esiste, in sostanza, un “piano B” da seguire nel caso la manovra con la Cassa Depositi e Prestiti non possa essere attuata, oppure tutte le speranze sono appese alla difficile riuscita della strategia del “colpo solo” sui crediti delle imprese? La sensazione, che poi è una forte preoccupazione, è che il piano B esista. E che venga tirato fuori nel momento in cui la “perfida Europa” dovesse respingere la furbata all’italiana. Si chiama patrimoniale o tassazione straordinaria sui depositi bancari. E sarebbe una rovina per un Paese già massacrato dalla recessione!
Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 23:27