Consiglio non richiesto ad Angelino Alfano

Il dramma di Angelino Alfano si chiama assenza di credibilità. Ha sostenuto per un anno di seguito che la scissione e la rottura del rapporto umano e politico con Silvio Berlusconi erano stati un atto di responsabilità imposto dalla necessità inderogabile di garantire la governabilità del Paese. Ed oggi, quando si propone di entrare nel Governo di Matteo Renzi per fare quella rivoluzione liberale che non è stata fatta dal Cavaliere, appare privo di qualsiasi credibilità. E non solo perché alla rivoluzione liberale ci avrebbe potuto pensare nei lunghi anni in cui è stato il segretario del Popolo della Libertà in quanto delfino designato di Berlusconi. Ma perché se la governabilità è il bene supremo a cui ha sacrificato un affetto filiale e la propria storia politica, entrare a far parte del nuovo Governo diventa un obbligo inderogabile anche se a guidare la compagine governativa invece di Renzi ci fosse Nichi Vendola.

In questa luce la questione della rivoluzione liberale diventa un tentativo disperato per nascondere l’impossibilità del Nuovo Centrodestra di sottrarsi alla partecipazione al Governo in un ruolo del tutto simile a quello dell’intendenza di Napoleone costretta per definizione a seguire. Alfano non può far altro che entrare a far parte in una posizione del tutto marginale in una coalizione governativa che non è più il frutto delle “piccole intese” tra sinistra e parte del centrodestra, ma che è fondata sulla centralità assoluta del Partito Democratico e del suo prorompente segretario.

Si capisce che per evitare al Ncd di fare la figura del partito dei contadini dei governi comunisti della Polonia di Gomulka, cioè della semplice foglia di fico della sinistra egemone, Alfano non trovi di meglio che accentuare la polemica con il partito di provenienza. Ma può bastare alzare i toni contro gli amici ed il benefattore di un tempo per riuscire a non impiccarsi al palo che lui stesso ha costruito e per trovare uno sbocco politico al culo di sacco in cui si è infilato?

L’impressione è che l’eccesso di nervosismo del segretario del Ncd e dei suoi amici dipenda dalla visione miope che ha contraddistinto gli alfaniani e il loro leader fin dal tempo della scissione del Pdl. Allora il loro unico orizzonte era la governabilità dell’Esecutivo Letta. Oggi è assicurare la governabilità del Governo Renzi. Il tutto, sia nel primo che nel secondo caso, per avere il tempo e le occasioni governative necessarie a sopravvivere ed a consolidarsi. Forse in attesa del tramonto definitivo della leadership di Berlusconi sul centrodestra per diventarne il sostituto. O, forse, in attesa della costruzione di un’area centrista capace di raccogliere i voti del centrodestra al momento dell’eclissi del Cavaliere.

L’incertezza sull’obiettivo strategico pesa come un macigno sulla credibilità di Alfano. E, soprattutto, gli preclude la possibilità sia di porsi come l’aspirante artefice della rivoluzione liberale non fatta da Berlusconi, sia come il perno centrale di un’ipotetica restaurazione democristiana, sia, addirittura, come partner semi-paritario di Renzi nella trattativa per la formazione del nuovo Governo.

Per rompere questa situazione di stallo il segretario del Ncd dovrebbe uscire dall’incertezza e comportarsi di conseguenza. Ma, più di ogni altra cosa, dovrebbe capire che se l’obiettivo ultimo è quello di succedere a Berlusconi nel ruolo di federatore del centrodestra o di raccogliere i voti oggi del Cavaliere per un futuro centro attrattivo della destra, deve rinunciare alla linea dell’ostilità e della spaccatura con l’area politica d’origine, ma caratterizzarsi come l’uomo del dialogo, del confronto, della ricomposizione con la maggioranza del centrodestra. Perché dalla sinistra sarà sempre un sopportato. E se ora rompe definitivamente con il suo mondo non saprà più a chi rivolgersi in futuro. Come Fini!

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 23:30