
Il proposito dichiarato è di formare un Governo che arrivi fino alla scadenza naturale della legislatura. Addirittura fino al 2018. Ma si tratta solo dello specchietto per le allodole centriste. Quelle come il Nuovo Centrodestra, Scelta Civica, i neo-popolari e l’Udc. Che hanno come unica preoccupazione quella di non andare a votare a maggio per non essere spazzate via dalla scena politica del Paese e sono pronte ad ingoiare ogni tipo di rospo pur di rinviare il più lontano possibile la verifica popolare.
In realtà la stella polare che Matteo Renzi segue nel liquidare Enrico Letta, con una brutalità inusitata e poco in linea con le comuni origini democristiane, è proprio la prospettiva del voto. Il segretario del Partito Democratico sa bene che imitare D’Alema riservando a Letta la stessa sorte riservata dal rottamato a suo tempo a Prodi non è il miglior viatico per la sua avventura a Palazzo Chigi. E sa anche meglio che una volta insediato alla Presidenza del Consiglio senza mandato popolare sarà oggetto della stessa velenosa azione di logoramento che i suoi compagni di partito hanno riservato nel passato allo stesso D’Alema, a Walter Veltroni, a Pierluigi Bersani oltre, naturalmente, al già citato Prodi.
Chi glielo fa fare, allora, a prendersi la responsabilità di liquidare Letta e assumersi il fardello della guida del Governo sapendo che non lo aspetta solo il tradizionale pacchetto di lacrime e sangue, ma anche un robusto sovrappiù di trappole, veleni, coltellate e tradimenti vari? I suoi amici dicono che, come le spose ipocrite dell’Ottocento, non lo fa per piacer suo ma per far piacere al Paese. Cioè che si è reso conto che senza un colpo d’ala deciso, l’Italia va definitivamente a fondo. E, questa volta in perfetto spirito democristiano, si sacrifica per amor patrio e spirito di servizio. In realtà il calcolo di Matteo Renzi è di tutt’altro genere. Ed è tutto rivolto al momento della verifica elettorale che, nel formare una sorta di monocolore Pd in cui figurano alcune foglie di fico del Ncd, di Scelta Civica e cespugli vari, non ha alcuna speranza di arrivare alla fine della legislatura. Renzi sa bene che con Letta o con lui stesso a Palazzo Chigi le elezioni sono comunque vicine. Forse in autunno. Di sicuro non oltre la primavera del prossimo anno. Il problema per lui è come arrivarci.
Lasciando in piedi il Governo Letta, il suo Pd, cioè lui stesso, sarebbe arrivato al voto esaurito dal peso di un Esecutivo incapace di uscire dal piccolo cabotaggio e di affrontare la crisi con coraggio e determinazione. Conquistando con il ferro e con il fuoco Palazzo Chigi può invece sperare di esaurire in sei mesi o al massimo in un anno tutti i fuochi d’artificio in suo possesso e arrivare all’appuntamento del voto sulle ali di una innovazione (magari solo di facciata ma comunque efficace) in grado di dargli quella legittimazione popolare che oggi non ha e che lo rende simile al rottamato D’Alema.
Certo, si tratta di un azzardo. Che per funzionare ha bisogno della paura dei cespugli e dell’interesse di Berlusconi di assumere le vesti di Padre della Patria nel realizzare le grandi riforme utili al Paese. Ma è un azzardo che ha solo una alternativa. Quella di trasformare la “sciocchezza” di Napolitano in realtà e andare subito al voto. Con il peso Letta e quello di un partito a cui, giustamente, l’opinione pubblica incomincia ad attribuire la responsabilità principale dello sfascio in atto!
Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 23:26