La paura che frena i nemici della riforma

Se è vera la regola che “il nemico del mio nemico è mio amico”, è facile prevedere che nel cercare di silurare in Parlamento la riforma elettorale la minoranza del Partito Democratico ed i partiti minori potranno contare sul sostegno del Movimento Cinque Stelle. Si tratterà sicuramente di una alleanza anomala e temporanea. Ma metterà in campo numeri consistenti che nelle votazioni a scrutinio segreto potranno mandare all’aria il percorso riformista concordato da Matteo Renzi e Silvio Berlusconi.

Per la sinistra Pd la circostanza potrebbe avere addirittura un significato politico nient’affatto occasionale. Non solo perché concretizzerebbe il sogno vanamente perseguito da Pierluigi Bersani all’indomani delle elezioni di realizzare un’alleanza con il mondo grillino considerato una sorta di costola dell’ultrasinistra. Ma perché potrebbe offrire, ad una eventuale tentazione di rottura scissionista nei confronti del segretario Renzi, la prospettiva di un’intesa più solida e di un asse tra sinistra Pd e forze dell’antipolitica in cui inserire il cespuglio vendoliano e tutti gli altri cespuglietti del progressismo più estremo. Diverso sarebbe, invece, per i partiti minori del centro e della destra. Per gli alfaniani, i casiniani, i montiani, i neo-popolari di Mauro e i Fratelli d’Italia della Meloni, si tratterebbe di una convergenza nient’affatto strategica ma solo contingente.

Che avrebbe come unico obiettivo quello di mandare all’aria la riforma elettorale diretta a consolidare il sistema bipolare e ad assicurare la sopravvivenza delle formazioni politiche minori. Sulla carta l’ipotesi di questa intesa spuria non è affatto peregrina. La voglia di farla pagare a Renzi ed a Berlusconi c’è e ci sono pure i numeri parlamentari per soddisfarla. Ma nel concreto questa eventualità si scontra con una doppia prospettiva. Quella che il fallimento della riforma elettorale porti direttamente alle elezioni anticipate. E che la fine traumatica della legislatura provochi la rottura definitiva all’interno del Partito Democratico tra i renziani ed i loro irriducibili avversari.

Tra i partiti minori, per la verità, qualcuno incomincia ad accarezzare l’idea di mandare all’aria la riforma e andare a votare con il sistema proporzionale disegnato dalla Consulta. “Male che vada – ragionano – salviamo la pelle e rinviamo la riforma alle calende greche”. Ma a frenare la tentazione del voto anticipato c’è la considerazione che la Corte Costituzionale non ha abolito gli sbarramenti del Porcellum. Che difficilmente potrebbero essere superati da partiti nati di recente dallo sfrangiamento dei partiti maggiori.

E, soprattutto, la circostanza che la sinistra Pd non solo non è ancora pronta per un’azione disperata come l’eventuale scissione, ma non è affatto convinta che dalla rottura con Renzi potrebbe diventare la forza egemone dello schieramento dell’ultrasinistra allargato all’area dell’antipolitica di Beppe Grillo. E se dal voto anticipato l’attuale minoranza Pd uscisse fuori trasformata in un cespuglio simile a Sel e destinata ad essere egemonizzata da un Movimento Cinque Stelle in declino ma nient’affatto in dissoluzione?

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 23:28