Voto di preferenza, il passato non insegna

Sulla questione molto dibattuta del voto di preferenza, al di là di qualunque ideologia di comodo, non c’è molto da dire. Come abbiamo già ampiamente avuto modo di sperimentare durante i “fasti” della cosiddetta Prima Repubblica, l’applicazione pratica di codesta edificante prerogativa è stata a dir poco catastrofica. Tanto catastrofica che, con una percentuale bulgara del 95,1%, il popolo italiano ne decretò l’abolizione con un referendum nel 1991.

In estrema sintesi, sono assolutamente convinto che con un’eventuale reintroduzione del voto di preferenza si riprodurrebbero gli stessi effetti negativi del passato. Molto in soldoni, ricreando questa sorta di concorrenza elettorale tra candidati di uno stesso partito, si amplificherebbe ulteriormente quella nefasta tendenza che porta ad utilizzare le risorse pubbliche per ottenere consenso. Come già accade, difatti, a livello locale - dove proprio esistono ancora le citate preferenze - anche sul piano nazionale si scatenerebbe una lotta senza quartiere tra i politici di professione a colpi di spesa. La redistribuzione di risorse a pioggia, uno dei nostri endemici mali, verrebbe parcellizzata nella miriade dei collegi elettorali, determinando ovviamente una crescita esponenziale delle già eccessive uscite pubbliche.

In altri termini, soprattutto all’interno di un sistema sempre più collettivizzato, con una mano pubblica che intermedia il 55% del reddito nazionale, non penso affatto che i futuri aspiranti parlamentari cercherebbero di battere la concorrenza nel proprio collegio richiamandosi al rigore nei conti ed al senso della responsabilità individuale. Aspetti, questi ultimi, assai interessanti per chi ama leggere i sacri testi del liberalismo classico, ma assolutamente fuori mercato nell’ambito di una democrazia in cui prevale l’idea dello Stato mamma e dei pasti gratis. Tuttavia, se abbiamo in animo di accelerare l’italica corsa verso il baratro del fallimento, non abbiamo che da ripristinare il voto di preferenza. A colpi di deficit-spending, realizzeremo una bancarotta democratica in piena regola.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 23:24