
Ma può un governo che non sa evitare lo stravolgimento di un decreto da parte dell’assalto delle lobby e degli interessi particolari guidare il processo di riforme che dovrebbe portare addirittura ad un epocale cambiamento della Carta Costituzionale? Il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, cioè l’artefice dell’attuale equilibrio politico ed il personaggio che dall’epoca del governo Monti ad oggi rappresenta il perno su cui regge ciò che resta del sistema della Seconda Repubblica, dovrebbe essere il primo a porsi questo interrogativo. Perché è lui che ha assegnato i compiti all’Esecutivo dei tecnici guidati da Mario Monti e all’Esecutivo di Enrico Letta indicando che il primo doveva perseguire il risanamento ed il secondo realizzare le indispensabili riforme istituzionali.
Ed è proprio lui che non può non prendere atto non solo del fallimento dell’operazione Monti, ma anche dell’impossibilità del governo Letta di portare a compimento l’impresa a cui era stato assegnato. La vicenda del “Salva-Roma”, decreto lasciato decadere proprio su sollecitazione del Quirinale, dimostra in maniera inequivocabile che l’Esecutivo non è in grado di compiere alcunché al di fuori di un piccolo cabotaggio realizzato, oltretutto, in maniera contraddittoria, faticosa e sostanzialmente inefficace. Il governo, in sostanza, può aumentare le tasse per la pausa caffè, può spostare il carico delle imposte sulle casa da una parte all’altra caricandolo lungo la strada di qualche altro aumento, può fare l’elemosina alle fasce più basse dei pensionati per aumentare il taglieggiamento dello Stato ai danni della stragrande maggioranza dei cittadini che percepiscono il loro legittimo trattamento di quiescenza.
Ma oltre queste operazioni di piccolo imbroglio ragionieristico non sa e non può andare. Non solo perché è carico di gente di non eccelso livello. Ma soprattutto perché non ha alle spalle una maggioranza solida, compatta e decisa a svolgere la propria funzione. La favola secondo cui la fine delle larghe intese ed il passaggio alla piccola intesa avrebbe comportato una maggiore coesione della coalizione si è rivelata un’autentica bufala. I partiti della maggioranza sono impegnati solo a salvare se stessi e il proprio personale futuro piuttosto che salvare il Paese dalla crisi. E in queste condizioni, comprovate dagli avvenimenti che si realizzano a ritmo ormai giornaliero, il capo dello Stato, cioè l’uomo che si è assunto la responsabilità di imporre questo quadro politico in nome della stabilità di fronte all’emergenza, non può rimanere indifferente di fronte al fallimento dell’esperimento politico da lui fortemente voluto.
Se il 2014 dovesse essere la semplice continuazione del 2013 senza portare ad alcun tipo di riforma sarebbe una tragedia. Perché a fallire non sarebbe solo il governo della piccola intesa, ma anche quella generazione dei quarantenni, Matteo Renzi in testa seguito a ruota da Enrico Letta e Angelino Alfano, che viene considerata come l’ultima riserva dell’attuale sistema politico. Un sistema, però, che è talmente deteriorato e così profondamente diverso da quello originario della democrazia repubblicana, da essere incentrato solo ed esclusivamente sul ruolo anomalo e debordante del Presidente della Repubblica. Ma quale futuro può avere un Paese che ha un governo incapace e paralizzato e la “guida suprema”, come nei regimi autoritari, di un uomo solo e per di più novantenne?
Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 22:51