Movimento di pancia, crederci è un'illusione

Nonostante l’appoggio di alcuni liberal-libertari di provata fede anti-fiscale e anti-burocratica, la scomposta protesta partita in tutta Italia il 9 dicembre si è più che altro connotata come una sostanziale richiesta di altro Stato e altra spesa pubblica, all’interno di una delirante piattaforma elaborata dal variegato comitato organizzatore in cui spicca la volontà di uscire dall’euro, consolidando per sopramercato il nostro colossale debito pubblico.

Ma al di là dei punti programmatici, simili ad altri movimenti di protesta che vedono nella finanza e nelle banche il nemico principale da abbattere, questo primo tentativo di paralizzare il Paese poggia sostanzialmente sull’estremizzazione di una visione molto diffusa nella pancia degli italiani e che si può così sintetizzare: il dovere dello Stato e del suo braccio operativo rappresentato dalla politica è quello di occuparsi del benessere dei cittadini sotto ogni punto di vista. Ebbene, se questo non accade, gli stessi cittadini hanno il diritto di ribellarsi contro una classe dirigente la quale, anziché rendere tutti più ricchi e felici, affama il popolo tenendosi per sé buona parte delle risorse che andrebbero altresì redistribuite a tutti. Sotto questo profilo sembra emergere quella sorta di retaggio antropologico ben descritto dal grande Friedrich von Hayek.

Egli riteneva, in estrema sintesi, che le più elementari spinte collettiviste rappresentassero il riflesso di un’antica condizione tribale, in cui gruppi di cacciatori-raccoglitori si riunissero intorno al fuoco per spartire il bottino in parti uguali. D’altro canto, è sufficiente ascoltare il tono generale delle interviste rilasciate alle varie emittenti televisive dai tanti “rivoluzionari” del 9 dicembre per rendersene conto.

Quasi tutti si lamentano del fatto che l’attuale classe politica non risolve i gravi problemi economici che affliggono una crescente quota della popolazione; mentre ben pochi si aspettano che lo Stato limiti la sua presenza, riducendo una tassazione che sta soffocando ogni forma di iniziativa privata. Semmai si pretenderebbe un ulteriore intervento redistributivo all’interno di un abbattimento drastico della tassazione, il tutto condito da un ritorno alla moneta nazionale così da ritornare a quel catastrofico potere illimitato di stampa con cui accontentare ogni richiesta di spesa a colpi di inflazione a due cifre.

Francamente ce n’è abbastanza per prendere le distanze, soprattutto per chi crede da sempre che l’unica salvezza del sistema passi per uno smantellamento dell’attuale sistema burocratico e assistenziale, puntando essenzialmente su ciò che resta del senso di responsabilità individuale. E francamente, pensare di avvicinare il paradigma di uno Stato minimo andandosi ad intruppare dentro un contenitore di protesta insieme a chi abbaia ferocemente per ottenere nuovi sussidi e nuove coperture sociali pagate da Pantalone mi sembra una chiara contraddizione.

Capisco perfettamente la frustrazione di tutti quegli sparsi liberali e libertari che da anni aspettano invano risultati concreti, ma sperare di ricavarli all’interno di un confuso movimento connotato da anti-europeismo e da evidente collettivismo di pancia appare più che una pia illusione. La strada della libertà economica non passa per altri improvvisati soviet dell’intervento pubblico illimitato. Abbiamo già dato.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 22:49