
Non ha tutti i torti Matteo Renzi quando sostiene che la decisione della Consulta di eliminare il “Porcellum” è stata fatta per mettergli i bastoni tra le ruote. Se il suo intento era di diventare segretario del Partito Democratico per mandare a casa il Governo di Enrico Letta, provocare le elezioni anticipate e puntare a Palazzo Chigi con un ampio consenso parlamentare assicurato dal premio di maggioranza della vecchia legge elettorale, quell’intento è stato completamente sventato. Per andare a votare a marzo bisognerebbe varare una nuova legge elettorale nel giro di qualche settimana. E l’impresa appare assolutamente impossibile.
Il Presidente del Consiglio Enrico Letta ha rilevato che prima di mettere mano al sostituto del Porcellum bisogna leggere le motivazioni della Corte Costituzionale, che non saranno note prima di un mese. E solo da qual momento, cioè da quando non sarà più possibile sciogliere le camere per andare al voto prima delle elezioni europee di maggio, si potrà mettere mano alla riforma elettorale. Questo significa che se si riuscisse a varare la nuova legge nei prossimi sei mesi, poi, magari dopo la fine del semestre di presidenza italiana dell’Ue , si potrebbe tornare a votare per eliminare l’anomalia di un Parlamento che è stato votato da una normativa anticostituzionale? Nient’affatto.
Perché in ballo non c’è solo la legge elettorale ma anche, come ha spiegato ed auspicato il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, la fine del bicameralismo perfetto. Cioè una riforma della Costituzione diretta o ad eliminare il Senato all’insegna della richiesta popolare di ridurre i costi della politica o a trovare una nuova funzione alla cosiddetta “Camera Alta”, per diversificarla da quella “Bassa” di Montecitorio, dove si dovrebbe concentrare l’attività politica dei rappresentanti del corpo elettorale. Ma una riforma della Costituzione si può fare in tempi brevi solo se la stragrande maggioranza del Parlamento è d’accordo nel realizzarla. Il ché è del tutto impossibile nella situazione di spezzettamento e di conflittualità che caratterizza l’attuale legislatura.
Se si vuole legare la nuova legge elettorale alla riforma del bicameralismo indicata da Capo dello Stato, quindi, non si può tornare a votare dopo la fine del semestre di presidenza italiana dell’Ue. E neppure nel 2015, come vanno sostenendo i difensori del Governo Letta. Bene che vada se ne parla nel 2016 o, addirittura, alla scadenza naturale della legislatura. Questa tempistica indica con chiarezza il progetto che c’è dietro la sentenza della Consulta ed anche i suoi astuti ispiratori. Cioè il progetto di congelare l’attuale Governo per fare in modo che il tempo impiegato a discutere sulle legge elettorale e le riforme costituzionali serva a logorare i nemici del ritorno al centrismo della Prima Repubblica tanto caro ai nostalgici di quell’epoca.
Cioè Renzi, che da segretario del Pd senza apparato e senza possibilità di candidatura alla premiership sarebbe destinato a fare la fine ingloriosa di tutti i suoi predecessori. Berlusconi, che relegato all’opposizione dovrebbe assistere al progressivo consolidamento degli alfaniani beneficiati dalla presenza governativa. Grillo, che nel giro di un anno potrebbe vedere spezzettato e disperso il suo scombiccherato Movimento Cinque Stelle formato da dilettanti allo sbaraglio. Piano perfetto, dunque, quello che come principale ispiratore sembra avere Giorgio Napolitano.
Ma con una doppia incognita. Che Renzi, Berlusconi e Grillo, cioè quelli che hanno i voti ed il consenso, possano trovare un accordo sulla nuova legge elettorale per andare a votare al più presto. Che il Paese non regga più un congelamento che nel frattempo produce paralisi, recessione e nuova povertà e si ribelli ai vegliardi d’età e di testa che lo vogliono far ripiombare nel passato.
Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 22:52