Nel libro dei sogni il realismo di Renzi

Nel luccicante libro dei sogni di Matteo Renzi, in cui predomina l’illusione di accontentare ogni tendenza presente nella società italiana, vi è da tempo un elemento interessante, ribadito assai recentemente dal sindaco di Firenze. Si tratta, in ordine di grandezza, della questione più rilevante all’interno del nostro colossale bilancio pubblico: la sostenibilità del sistema previdenziale pubblico. E su questo piano, occorre riconoscerlo, il rottamatore ha preso una posizione decisamente impopolare che in primo luogo lo porta a scontrarsi con le componenti più retrograde della sua area politica, Cgil e Fiom in testa.

E sebbene Renzi focalizzi la sua attenzione sui trattamenti pensionistici più elevati, puntando il dito sui vitalizi privi di completa copertura in termini di versamenti - basati questi ultimi sul modello cosiddetto a ripartizione - nondimeno in Italia è noto che chi tocca i fili della previdenza pubblica rischia di morire politicamente folgorato. Ma allora, perché lo fa? Perché questo giovanotto, la cui corsa verso la tanto agognata stanza dei bottoni sembra inarrestabile, osa in un momento di grave crisi economica mettere in discussione il cardine fondamentale dell’italico welfare all’amatriciana, quando buona parte del suo bacino di consenso chiede ulteriore protezione sociale? La spiegazione potrebbe essere abbastanza semplice.

Convinto di raggiungere la guida dal Paese, dopo aver sbaragliato la concorrenza interna al suo partito, Matteo Renzi deve aver compreso che senza provvedimenti di ampio respiro sul piano strutturale - niente a che vedere con in pannicelli caldi dell’attuale governo delle larghe intese - non si va molto lontano. Forse aiutato in questo dal suo consigliere economico Yoram Gutgeld, il quale non sembra uno sprovveduto, egli si sarà probabilmente reso conto che senza una risolutiva riforma di un sistema previdenziale insostenibile non si va da nessuna parte. Tanto è vero che proprio in questi giorni risuona sinistro l’allarme lanciato dal presidente dell’Inps Mastrapasqua circa la tenuta finanziaria del colossale ente pubblico.

Ed è quindi probabile che lo scaltro politico fiorentino, avendo fiutato la vera situazione del disastrato bilancio pubblico, stia cominciando a mettere le mani avanti, onde non trovarsi un domani ad operare i sempre più necessari tagli draconiani senza alcun preavviso. D’altro canto, se consideriamo che la spesa previdenziale è circa un terzo di quella complessiva dello Stato, gravando in modo insopportabile sui settori produttivi, è ovvio che l’unico modo per renderla sostenibile passa necessariamente per una sua decisa riduzione, data per scontata l’impossibilità di continuare a tenere i conti in ordine attraverso ulteriori aumenti di una contribuzione obbligatoria a dir poco feroce.

Il problema è che tra il dire e il fare, come è noto, c’è di mezzo il mare. Un mare di privilegi acquisiti, eufemisticamente definiti diritti, che il sistema politico nel suo complesso ha utilizzato per gestire il consenso. E niente di più della nostra pubblica previdenza si presta per confermare il motto di George Bernard Shaw secondo cui “un governo che ruba a Peter per dare a Paul può sempre contare sull’appoggio di quest'ultimo”. Ebbene, una volta raggiunta la poltrona decisiva, Renzi avrà il coraggio politico di sfidare questa legge non scritta che ha condotto l’Italia a spendere in pensioni come nessun altro Paese avanzato? Staremo a vedere.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 22:50