
La spaccatura politica è ormai incolmabile. Da una parte chi considera il voto sulla decadenza di Berlusconi un “omicidio politico” a cui reagire decretando la fine della collaborazione con l’“assassino” Pd. Dall’altra chi crede che la ragion di stato e l’interesse del Popolo della Libertà e dello stesso Cavaliere impongano di subire questo “omicidio” continuano a collaborare con gli “assassini”. A questa spaccatura, che però nasconde anche il timore dei lealisti che gli alfaniani stiano preparando un’operazione centrista e la speranza di parecchi alfaniani che questa operazione possa realizzarsi concretamente, si aggiunge la rottura completa dei rapporti personali. Altro che guelfi e ghibellini.
Nel Pdl-Forza Italia il conflitto interno è sceso ormai al livello di faida di paese e non sembra destinato ad essere modificato in alcun modo. Ma se questo è il quadro, perché mai la scissione non si è ancora consumata e le trattative per una soluzione unitaria continuano ad essere portate avanti senza un attimo di respiro? La risposta è semplice. Perché, con la sola eccezione di qualche svaporato isolato, tutti si rendono conto che in politica non vale la regola del “due che è meglio di uno”. Vale l’esatto contrario.
Soprattutto quando si tratta di un partito che nei vent’anni del sistema bipolare ha svolto la funzione di principale alternativa alle forze di sinistra. I lealisti sanno che senza i governativi subirebbero comunque la perdita di una parte del tradizione elettorato del centrodestra. E sarebbero condannati non solo all’opposizione permanente ma anche a competere con le altre forze della diaspora del centrodestra per il mantenimento dell’egemonia nella propria area.
A loro volta i governativi, pur negandolo, sono consapevoli del rischio di finire come Fini e il suo Futuro e Libertà. Cioè di fare una scissione di palazzo non seguita dalla stragrande maggioranza dell’elettorato moderato e di essere risucchiati all’interno di un gorgo centrista al fondo del quale non c’è il ritorno alla grande Democrazia Cristiana ma solo la sorte toccata a Mario Monti. Berlusconi, che poi sarebbe il più danneggiato da un’eventuale scissione visto che oltre a subire l’“omicidio” politico e giudiziario si ritroverebbe talmente indebolito da rischiare di fare la stessa fine della Tymoshenko in Ucraina, è perfettamente cosciente che la scissione sarebbe una iattura per tutti.
Ed è certo che fino all’ultimo compirà il massimo sforzo per tenere insieme gli inconciliabili. Sulla sua strada è però ostacolato dalla conseguenza perniciosa che il combinato disposto del Porcellum e della natura leaderistica del partito ha prodotto all’interno del Pdl-Forza Italia. Si tratta della convinzione, presente sia tra i lealisti che tra gli alfaniani, che prima dell’esigenza dell’unità venga la sopravvivenza personale. Ma da cosa dipende questa sopravvivenza se non dalla questione delle liste, cioè da chi abbia il potere di decidere sulle liste dei nominati nel prossimo Parlamento?
Di qui la convinzione di molti del “due meglio di uno”. Cioè di una scissione in cui ognuno dei contendenti ha la possibilità di scegliere i propri piuttosto che di una unità in cui i nominati sono scelti solo da Berlusconi e dai suoi più stretti collaboratori (alle ultime elezioni Alfano e Verdini) senza garanzie per nessuno.
È per questa ragione che non c’è da essere molto ottimisti sul tentativo del Cavaliere di evitare la spaccatura. I nominati vogliono la garanzia di essere di nuovo nominati. Senza pensare, però, che più emerge questa loro pretesa di sopravvivenza, più quelli che li dovrebbero poi votare a scatola chiusa si indirizzano altrove!
Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 22:51