Lealisti e alfaniani è ora di farla finita

Il Partito Democratico sta facendo di tutto per spaccare il Pdl-Forza Italia e per scaricare sul centrodestra la responsabilità della crisi del governo Letta-Alfano. La decisione di accelerare al 27 novembre la data del voto sulla decadenza di Silvio Berlusconi dimostra in maniera inequivocabile che il partito guidato al momento da Guglielmo Epifani punta a provocare la lacerazione definitiva tra i lealisti e gli alfaniani del fronte berlusconiano e, nel caso i primi non fossero in grado di aprire la crisi, a causare un tale indebolimento della maggioranza di governo da rendere indispensabile la fine delle larghe intese dopo l’approvazione della legge di stabilità.

Il gioco del cerino avviato dal Pd è smaccato. Perché tende a nascondere la vera causa dell’ormai imminente fine dell’esecutivo guidato da Enrico Letta: le primarie del partito in cui l’unico elemento su cui si ritrovano i quattro candidati alla segreteria è rappresentato dalla promessa di mettere fine alle larghe intese. Ma i dirigenti del Pdl-Forza Italia non sembrano rendersene conto. I lealisti si lanciano a testa bassa contro il drappo rosso della provocazione del Pd sulla decadenza del Cavaliere e non si rendono conto che promettendo la crisi come immediata conseguenza dell’espulsione dal Senato di Berlusconi stanno togliendo il cerino della caduta del governo dalle mani del Pd e di Matteo Renzi e si stanno esponendo all’accusa strumentale di subordinare l’interesse del Paese a quello del loro leader.

Gli alfaniani, a loro volta, manifestano una pochezza politica addirittura inquietante quando pongono al centro della loro strategia politica la difesa ad oltranza di un governo che ha le ore comunque contate. Che faranno quando la spina delle larghe intese verrà staccata da un Pd uscito dalle primarie con l’impegno di tutti a togliere di mezzo l’esecutivo dell’innaturale alleanza con la “destra del pregiudicato”? Continueranno a battersi per il governo morto come i giapponesi nelle isolette del Pacifico o, finita la cortina fumogena dietro cui nascondono di considerare tramontato l’astro berlusconiano, cercheranno di salvare se stessi cavalcando la ridicola formula del “partito duale” inventata da Fabrizio Cicchitto per assicurare agli alfaniani il cinquanta per cento dei posti in lista alle prossime elezioni?

Se gli uni e gli altri non si lasciassero dominare dall’ostilità reciproca e dall’impulso all’immediata resa dei conti interna, non dovrebbero fare altro che non cadere nella provocazione del Pd e mettersi d’accordo nell’aspettare il passaggio di mano del cerino della crisi dopo l’8 dicembre. Come? Annunciando che la scelta del Pd di espellere dalla politica il leader del partito con cui si è formata l’alleanza del governo determina la fine delle larghe intese. Ma rinviando a dopo l’approvazione della legge di stabilità debitamente corretta la fine della coalizione. La formula da usare è quella dell’appoggio esterno.

Lasciando al loro posto i ministri Pdl-Forza Italia per il tempo necessario a mettere in sicurezza la manovra economica e gli impegni con l’Europa del Paese. Nessuno, comunque, s’illuda che dopo questa fase lealisti e alfaniani possano tornare a litigare per chi decide le liste del partito alle elezioni. Perché a quella data potrebbero ritrovarsi senza più un partito da contendere e con una massa di elettori disposti ancora a fidarsi di Berlusconi, ma solo a condizione che non sia più accompagnato dai cortigiani e dai cretini.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 22:52