
Sarebbe rovente la linea telefonica tra Questura di Roma e Viminale: il governo non immaginava che i manifestanti sarebbero giunti così vicini ai palazzi del potere. I professionisti dell’ordine pubblico ribattono a politica e istituzioni tutte: “vi avevamo avvisato da mesi che il pericolo di rivolte di piazza è reale e richiede più risorse e fermezza”. Soprattutto, pare che gli 007 abbiano allertato da tempo (e prima del “datagate”) il presidente del Consiglio Enrico Letta e il suo vice Alfano (responsabile del Viminale) circa la saldatura tra movimenti dei “disoccupati organizzati”, Bpm (blocchi precari metropolitani) e “movimenti per il diritto all’abitare”. Secondo gli addetti ai lavori questa saldatura sarebbe già una “via senza ritorno”, anche perché non ci sarebbe all’orizzonte alcuna possibilità di creare posti di lavoro come di salvare circa 10 milioni di italiani dal disagio economico.
I conti sono presto fatti: i disoccupati sono circa 6 milioni (per la metà giovani sotto i 28 anni) mentre i nuovi poveri sono circa 5 milioni, più di 4 milioni di italiani sono ascrivibili alla categoria precari e sottoccupati. Una vera e propria polveriera, il cui sfogo naturale sembrerebbe oggi rappresentato dalle rivolte di piazza. A non preoccupare le forze di polizia ci sarebbero invece i “rassegnati”: ovvero coloro che ormai accettano il disagio come ineluttabile, quindi né si ribellano né cercano un lavoro o soluzioni di mezzo, trasformando la propria esistenza in una lunga inedia a carico di parenti, amici e, sempre più spesso, associazioni caritatevoli.
In troppi nei palazzi sperano di convincere le vittime del disagio sociale ad aderire al partito della rassegnazione: nelle vene di ognuno di loro scorre sangue e l’adrenalina spesso fa miracoli, sia nel bene che nel male. I non rassegnati s’erano già mossi prima dell’estate 2013, non accettando il piatto dalla Caritas e decidendo di assaltare i grandi ipermercati con le “spese proletarie”. Nei quartieri Casilino e Tiburtino le caserme di carabinieri e polizia sono in continuo allarme “spesa proletaria”. Nei primi giorni di ottobre, l’ipermercato romano Panorama di “Monti Tiburtini” veniva più volte assalito da centinaia di persone aderenti ai collettivi di “spesa proletaria”, noti come “Contrattiamo un prezzo sociale”: veri e propri blitz, in centinaia entravano nel supermercato e riempivano i carrelli con generi alimentari e altro.
Venivano in parte fermati alle casse, dove chiedevano di “poter contrattare un prezzo sociale con il direttore”. Farsa o verità? La polizia appurava che alcuni “precari metropolitani” avrebbero invitato zingari ed extracomunitari clandestini ad assaltare con loro l’ipermercato Panorama, e perché un maggior numero d’assaltatori sarebbe stato più difficile da identificare e fermare. Fuori dal supermercato erano presenti una decina di agenti della polizia di Stato in tenuta antisommossa: “Si temette subito potessero venir soverchiati dai precari metropolitani”, spiega una normale cliente del supermercato. Ieri a Roma la grande prova generale dell’assalto a Montecitorio: “Comitati per la casa”, “Disoccupati organizzati” e altre sigle hanno sperimentato se insieme possono battere la sicurezza dello Stato.
È un dato di fatto inconfutabile che i movimenti siano per la prima volta riusciti a superare via Del Tritone per invadere lo spazio antistante Palazzo Chigi. L’assedio è riuscito, ora nei palazzi temono il peggio. Perché, nonostante i blindati delle forze dell’ordine avessero bloccato ogni strada d’accesso alla presidenza del Consiglio dei ministri, ugualmente i manifestanti hanno raggiunto sia piazza Colonna che le vie attigue al Quirinale, aggirandosi nel groviglio di strade che porta a Fontana di Trevi. La polizia non è riuscita a sbarrare la strada, e la disobbedienza sociale ha dimostrato di poter raggiungere gli obiettivi istituzionali. Infatti, proprio a pochi metri da piazza Colonna, i manifestanti hanno assaltato un blindato dei carabinieri: ci sono saliti sopra, hanno lanciato bombe carta contro gli agenti e avrebbero potuto occupare senza particolari difficoltà il ministero degli Affari regionali.
Hanno incendiato e rovesciato cassonetti, usato transenne come barricate. Hanno dimostrato, e per la prima volta nella storia della Repubblica, di saper fare strategia di guerriglia al grido “assediamo i palazzi del potere”. Si sono anche divisi in due gruppi, uno s’è diretto verso la presidenza del Consiglio e l’altro ha quasi raggiunto il Quirinale. Oggi nei palazzi si chiedono chi sia Paolo di Vetta (rappresentante dei Movimenti per il diritto all’abitare), l’uomo che ha detto che “se non verrà fuori una soluzione adeguata per fermare il blocco degli sfratti e gli sgomberi, la nostra protesta non si fermerà”.
Parole che sarebbero già al vaglio degli inquirenti, insieme alle posizioni degli otto manifestanti fermati: vengono accusati a vario titolo di aver provocato disordini e lesioni, più o meno gravi, ad una decina d’agenti di polizia. Ora le forze politiche sono più che divise sulle richieste dei dimostranti, c’è chi vorrebbe venissero elargiti circa 100 milioni di euro per aiutare disoccupati e meno abbienti, ma c’è anche chi propone la linea dura e “nessun accordo con i dimostranti”. Di fatto è stata spalancata una via di non ritorno, e certamente il governo Letta, complice la negativa congiuntura economica, ha le mani legate più di altri esecutivi.
Per gli addetti ai lavori, sarebbe reale il rischio di una violenta occupazione dei palazzi istituzionali. Ma la domanda che in tanti si pongono è se il presidente della Repubblica (capo delle forze armate) manderà mai l’esercito contro un popolo in rivolta per i bisogni primari, quelli che il custode della Costituzione dice che sarebbero garantiti dalla Carta. E’ una rivolta contro l’utopia, contro le promesse della seconda metà del ‘900.
Aggiornato il 09 aprile 2017 alle ore 15:40