Nodi sempre ignorati e fiumi di parole

In tema di legge di stabilità, che a quanto sembra non piace a nessuno, si stanno spendendo fiumi di parole inutili. Dato che quasi nessuno comprende il nodo fondamentale che sta dietro al rilancio della nostra economia, molti tendono ad esprimere una ridda di giudizi assai critici sul governo e sulla maggioranza, rei di aver usato il “cacciavite” anziché il “caterpillar”, tanto per usare una definizione renziana piuttosto alla moda.

In particolare, si dice che i soldi messi a disposizione dall’Esecutivo per ridurre il famigerato cuneo fiscale, ossia il differenziale da record mondiale che esiste tra ciò che costa un dipendente ad una impresa e il suo salario netto, sono troppo scarsi per ottenere effetti significativi sul lato della domanda aggregata. Normalmente chi accusa il governo di non aver avuto coraggio su questo fronte è lo stesso che poi si indigna nel caso di qualunque annuncio di riduzione della spesa pubblica in questo o quel settore del nostro Stato leviatano. E dato che in Italia sembra prevalere nettamente e da parecchio tempo il partito trasversale della botte piena con la moglie ubriaca, mi sembra evidente che chiunque si troverà un domani ad affrontare la spinosissima questione del costo del lavoro non potrà evitare di confrontarsi con questa sorta di schizofrenia democratica, per così dire.

Una schizofrenia che Antonio Martino (sebbene da ministro sembrò dimenticarsene) delineò assai efficacemente ben prima di scendere in campo insieme a Silvio Berlusconi, rappresentandola come il portato consequenziale di un sistema di scambio definito “democrazia acquisitiva”. Ovvero, la nefasta tendenza della classe politico-burocratica ad acquisire consenso attraverso una crescente distribuzione di risorse pubbliche, sotto le più disparate voci. Naturalmente il prezzo di codesto colossale, quanto trasversale clientelismo - assai preponderante nelle regioni meridionali - si è caricato sui consumatori e sui produttori privati di ricchezza, i quali, tornando a bomba, hanno visto aumentare inesorabilmente i costi fiscali e burocratici imposti dai paladini dell’assistenzialismo.

E oggi, con una spesa pubblica che complessivamente raggiunge il 55% del Pil, è surreale proporre di abbattere significativamente il suddetto cuneo fiscale senza tagliare con l’accetta le uscite dello Stato. Ma per farlo, cominciando a mettere seriamente in discussione i troppi privilegi concessi mascherati da diritti acquisiti, occorrono almeno tre fattori: visione, coraggio politico e stabilità di governo. Ora, concludendo molto rapidamente il mio ragionamento, ammesso e non concesso che Enrico Letta e i suoi ministri abbiano la visione per affrontare il nodo fondamentale che, oltre al lavoro, sta soffocando l’intera società, vi sembra che possano contare su un tempo e una coesione politica necessari per sfidare l’impopolarità di una linea che riduca sensibilmente il peso e il costo della mano pubblica? Io non penso affatto.

L’unico ragionevole - dal suo punto di vista - obiettivo che si è dato il premier è quello di durare almeno fino al 2015, poi si vedrà. E quando nel Paese del collettivismo all’amatriciana, al di là della solita fuffa propagandistica, un esecutivo cerca solo di restare in sella il più a lungo possibile, è impensabile che esso possa solo accennare ad una qualche sostanziale riforma di sistema. Sotto questo profilo non c’è che da mettersi il cuore in pace.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 22:49