Giorgio Napolitano e la legge elettorale

Una ritirata strategica può anche servire a ridurre un fronte troppo esteso ed a ricompattare un esercito mal distribuito su linee lunghe. Ma, come sanno quanti studiano l’Italia della Seconda guerra mondiale, le ritirate strategiche sono sempre la conseguenza non di una vittoria ma di una sconfitta. In politica vale la stessa considerazione. Lo avrebbero dovuto sapere quanti hanno salutato come ricompattamento della maggioranza il passaggio dalle larghe intese alle intese più ristrette che si è verificato in occasione dell’ultimo voto di fiducia al governo Letta-Alfano.

E hanno commentato la riduzione dei consensi della coalizione governativa non come un segnale di indebolimento ma coma la fine del ventennio berlusconiano e come il santo parricidio compiuto ai danni del Cavaliere da parte dei suoi seguaci convertiti alle ragioni di una destra presentabile, moderna ed europea. Oggi si scopre che il passaggio dalla intese larghe a quelle più ristrette comporta come conseguenza la precarietà dell’Esecutivo. Che è diventato pericolosamente molto simile a quello del 2006 di Romano Prodi, che si reggeva sui voti dei senatori a vita e che rischiava di affondare ad ogni passaggio parlamentare.

Con la differenza che mentre il governo Prodi poteva contare su un Partito Democratico sostanzialmente compatto, quello di Enrico Letta si ritrova ad avere una sinistra in cui giorno dopo giorno si va delineando una maggioranza decisa a portare alla segreteria del partito l’uomo che da due anni a questa parte è in campagna elettorale per la propria candidatura a Premier.

Il governo delle strette intese, in sostanza, non può neppure sperare nel sostegno dell’ultima infornata di senatori a vita realizzata da Giorgio Napolitano proprio per questo scopo. Perché gli elementi di debolezza che lo caratterizzano, dalla spaccatura del Popolo della Libertà a quella di Scelta Civica fino all’interesse di Matteo Renzi di usare la segretaria per fare le scarpe a Letta, sono sempre più forti e pressanti.

E hanno trasformato l’unica soluzione politica per una legislatura nata sotto il segno dell’impossibilità di formare maggioranze omogenee in una sorta di morto che cammina verso lo scontato esito delle elezioni anticipate. A rendersene conto per primo è proprio l’artefice della trovata emergenziale delle larghe intese, cioè Giorgio Napolitano.

La decisione irrituale di tenere al Quirinale una riunione di maggioranza per studiare le modifiche da apportare al Porcellum per non ritrovarsi con una legge elettorale bocciata dalla Corte Costituzionale, indica che il Presidente della Repubblica ha capito benissimo che la sorte dell’Esecutivo è ormai segnata. E che ormai non ci sia più altro da fare che trovare un’intesa al minimo sulla nuova legge elettorale prima di passare ad una inevitabile verifica elettorale nei primi mesi del prossimo anno.

La consapevolezza del Capo dello Stato dovrebbe creare una identica consapevolezza tra i responsabili delle diverse forze politiche. Perché se la priorità non è più la tenuta del governo ma il ricorso alle elezioni anticipate, i comportamenti dei partiti e delle componenti dei partiti stessi dovrebbero cambiare radicalmente. Chissà se questa banale considerazione avrà qualche conseguenza in un centrodestra dove nessuno ha un voto personale e tutti sono sempre andati al traino di Berlusconi?

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 22:51