Monti e la politica come fatto personale

Che Mario Monti non capisca nulla di politica è ormai un dato assolutamente acquisito. Probabilmente il primo a capirlo deve essere stato il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano.

Che quando lo ha nominato senatore a vita per poi investirlo del ruolo di Presidente del Consiglio di un governo tecnico per l'emergenza, deve averlo scelto proprio per questa sua singolare caratteristica. Nella testa di Napolitano un personaggio minimamente capace di comprendere ed operare sul terreno politico avrebbe potuto più facilmente uscire dai binari indicati dal Quirinale. E questo spiega non solo la scelta del tetragono Monti ma anche la sorpresa ed il disappunto del Capo dello Stato quando l'ex Rettore della Bocconi rinunciò al ruolo di riserva della Repubblica per scendere in campo alla guida di Scelta Civica in occasione delle ultime elezioni, nella convinzione di venire acclamato come Salvatore della Patria.

Ma perché Mario Monti non capirebbe nulla della dialettica democratica ? Semplice, perché trasforma una vicenda politica in fatto personale. E grida al tradimento nei suoi confronti di Mario Mauro e Pierferdinando Casini non riuscendo a comprendere che l'operazione avviata dai suoi ex compagni di viaggio può anche dipendere in parte dalla scoperta dei limiti del leader di Scelta Civica su cui avevano riposto la propria fiducia, ma nasce soprattutto dalla valutazione politica del fallimento del neocentrismo come terza forza destinata a far saltare il bipolarismo Pdl-Pd . Monti, in sostanza, con una arroganza ed una prosopopea decisamente eccessive, personalizza una questione in cui le vicende dei singoli perdono qualsiasi valore rispetto al fenomeno politico generale.

Se il senatore a vita avesse un po' più di umiltà avrebbe capito da tempo che la sua operazione neocentrista era fallita non perché alle ultime elezioni aveva ancora una volta trionfato il bipolarismo ma perché a far saltare lo schema bipolare non era stato il neocentrismo di Scelta Civica ma la comparsa prepotente del populismo del Movimento Cinque Stelle. Se lo avesse compreso ed accettato Monti avrebbe potuto reagire in due modi. O rilanciando il neocentrismo proponendo di trasformare le larghe intese da operazione contingente ed emergenziale a formula politica di lunga durata destinata a tagliare le ali di destra e sinistra.

Oppure accettando il ritorno al bipolarismo destra-sinistra come unico rimedio al populismo estremista ed anarcoide di Beppe Grillo e cercando di diventare il leader di uno dei due schieramenti destinati a dare forza e stabilità al sistema della democrazia dell'alternanza. Monti non ha fatto né l'uno, né l'altro. Non ha messo la propria faccia sull'idea di trasformare le larghe intese nella base per il ritorno al centrismo degli anni cinquanta.

E nella convinzione che la corona di leader del centro destra e del centro sinistra gli sarebbe stata presto o tardi consegnata spontaneamente dai dirigenti dell'uno e dell'altro schieramento, si è arroccato attorno alla propria presunzione rimanendo in un limbo sterile e da cui è ormai impossibile sfuggire.

In queste condizioni come stupirsi se mezza Scelta Civica pensa di creare un grande centro destra e l'altra mezza di partecipare ad un grande centro sinistra guidato da Matteo Renzi? E come non sospettare che Napolitano si sia pentito di aver fatto un senatore a vita che si crede Napoleone senza aver vinto neppure mezza battaglia?

Aggiornato il 09 aprile 2017 alle ore 15:22