I tanti paradossi delle pensioni d'oro

I pensionati d’oro sarebbero circa centomila. Ma i loro nemici non sanno e non dicono da quale soglia pensionistica si diventa socio dell’esclusivo club, mentre sparano cifre iperboliche sul loro costo complessivo. È una guerra combattuta con la disinformazione. Tant’è vero che la cifra della spesa per le pensioni d’oro non collima con la curva dei redditi d’oro come risultano al fisco, pur trattandosi di redditi tassati alla fonte.

È l’esiguo numero dei pensionati, oltre che la loro condizione (non possono scioperare, né nuocere, né determinare un’elezione, perché sono insignificanti e politicamente differenziati) a renderli preda di riformatori di destra e di sinistra che si somigliano come gocce d’acqua. La giustizia, con la “G” maiuscola, non c’entra affatto. Né sono tali pensionati ad affossare o poter risanare l’erario dissestato proprio da coloro che adesso in Parlamento, per scaricarsi le colpe e scansare il malfatto, si ergono a paladini dell’equità, ma come l’intendono loro. L’equità, parlando di economia e cioè equo prezzo, salario, interesse, imposta, contributo, è molto peggio di un concetto falso e vuoto: è una frode.

“Sono contraddizioni in termini (Collingwood)”. “Naturalmente, tra redditi o incrementi utili “guadagnati” e “non guadagnati” è possibile tracciare una distinzione abbastanza precisa in termini legali. Questa però cessa ben presto di coincidere con la distinzione etica che ne fornisce la giustificazione (Hayek)”. Infatti, c’è chi fissa l’equità del contributo al 10%, chi al 15%, eccetera, e chi fissa la pensione d’oro a 5mila euro e chi a 3mila euro, eccetera. Sicché l’equità consiste nella cifra che l’albagia fa germogliare nella loro testa, ovviamente al solo scopo di raccattare i voti dei pensionati sotto la soglia prescelta, che sono la maggioranza. Quando la Costituzione consente incursioni sulle libertà e i beni degli individui, essa perciò appare “la più bella del mondo”.

Quando, al contrario, impedisce le razzie discriminatorie della finanza fiscale e parafiscale manovrata da un Parlamento onnipotente, giustamente punite dalla Corte costituzionale, allora si studiano gli espedienti per vanificare la Carta con artifici e raggiri. Le proposte che mirano a prelevare, oltre una certa soglia presuntamente equa, una porzione o l’intera pensione “non coperta” o “non giustificata” dai contributi versati presuppongono il principio, mostruosamente collettivista, che le pensioni non siano proprietà del pensionato, ma una benigna, arbitraria, aleatoria concessione del sovrano repubblicano: il complesso Parlamento-Governo.

Un ritorno al “quod principi placuit, legis habet vigorem”. Se la pensione è, come è, proprietà del pensionato, le suddette proposte costituiscono, costituirebbero, un’espropriazione eseguita mediante legge retroattiva, vietata, tra l’altro, dallo Statuto del contribuente e in generale dalle preleggi del codice civile. Il contributo di solidarietà, nonostante l’accattivante espressione che sembra rimandare alla virtù della generosità, non ha invece niente della volontarietà e della liberalità, perché è a tutti gli effetti un’imposta, tale esattamente qualificata dalla Consulta e pertanto giudicata iniqua e incostituzionale ai sensi degli articoli 3 e 53 della Costituzione.

Comunque, i contributi pensionistici, in tali deprecate e squalificate proposte politiche e parlamentari che per contro ne tacciono, per essere equamente ponderati dovrebbero essere rivalutati al valore attuale e maggiorati degli interessi se si pretende di calcolare esattamente, secondo il metodo contributivo, la differenza tra pensione in atto e pensione ipotetica, sulla quale differenza applicare poi il prelievo, sempreché qualcuno dalla forza erculea e dal cervello divino riesca a conoscere, ritrovandoli, i contributi effettivamente versati a fronte di tutti i redditi effettivamente percepiti da ogni pensionato nel corso della vita lavorativa. Stiamo parlando di miliardi di dati e miliardi di calcoli.

E che dire delle categorie privilegiate (esse sì!), ben conosciute, che godono di pensioni anche d’argento, se non d’oro, senza aver mai versato una lira di contributi? A questi signori verrà tolta integralmente la pensione o no? Opinionisti da talk-show e parlamentari da operetta, frementi d’indignazione calcolata, tacciono vilmente su questo specifico punto. Perché? Per non perdere milioni di voti. Tutto ciò sotto pena di migliaia di contenziosi e di ineluttabili censure d’incostituzionalità per le manifeste disuguaglianze e discriminazioni che inevitabilmente si genererebbero tra pensionati singoli e categorie di pensionati. E questo che si vuole?

Non si avvedono codesti “riformatori”, anzi fomentatori dell’invidia sociale e del risentimento popolare, che, allo stato delle cose, le pensioni d’oro sono scalari e la semplice idea di una soglia discriminatoria, tra ciò che è oro e ciò che non lo è, crea un’odiosa e ingiustificata frattura tra incolpevoli pensionati? Se le pensioni d’oro sono “il frutto avvelenato” di un sistema pensionistico basato sul reddito a fine lavoro, queste pensioni le ha create la legge, non una sua violazione da riparare. Né i partiti, né i sindacati, né l’Inps protestarono quando leggi-fotografia e provvedimenti ad personam stabilirono le modalità di calcolo delle pensioni a 24 carati. In tutto sono 540 i superprivilegiati con pensioni superiori a 20mila euro mensili.

Togliendo loro l’eccedenza, per esempio, compiremmo un atto rivoluzionario contro il diritto, non un atto di giustizia secondo diritto. A maggior ragione per l’oro a 18 o 16 carati. Con politica corrività e giuridica protervia (uno schiaffo alla Corte costituzionale!), nell’ultima versione, se sarà davvero l’ultima (21 ottobre 2013), il Governo ha reintrodotto il contributo di solidarietà. Spiega la relazione tecnica ministeriale che il gettito sarà di 12 milioni netti annui nel triennio. I pensionati assoggettati al contributo dal 5% al 15% sono 3.500 su un totale di 13,5 milioni di pensionati: lo 0,02 %! Ne vale la pena?

Vale la pena violare il Diritto e la Costituzione per assecondare gli inqualificabili istinti di uomini politici a caccia di voti? Ultima questione, gravissima: come potrà il capo dello Stato, senza venir meno ad un suo preciso dovere presidenziale, autorizzare la presentazione al Parlamento della legge che contiene il contributo cancellato dalla Corte costituzionale?

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 22:51